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Notiziario

Venerdì 17 febbraio 2006

Se Vittorio Emanuele II non avesse strappato Roma a Pio IX nel 1870?

Giovedì 23 febbraio (sala Spadolini, Biblioteca Oriani) inizia il ciclo di incontri su La storia non si fa con i se? Riflessioni sull’identità italiana



 

Dopo il grande interesse suscitato lo scorso anno per il ciclo di incontri su “La storia non si fa con i SE?” (tanto che questa formula è stata riproposta in altre città), la Fondazione “Casa di Oriani”, sempre con la collaborazione e il contributo della CMC - Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna -, presenta una nuova serie di interrogativi su alcuni momenti centrali nella storia italiana fra Ottocento e Novecento.

 

Che “la storia non si faccia con i se” è una opinione largamente diffusa, anzi un vero e proprio luogo comune, che, in quanto tale, viene accolto senza indugi e tentennamenti nelle conversazioni quotidiane e, molto spesso, nelle discussioni scientifiche. Vi è in questa convinzione radicata un aspetto essenziale del lavoro dello storico. Lo storico si occupa di quello che è accaduto, cercando di capire perché è accaduto. E in questo compito è favorito dalla sua invidiabile posizione: di sapere appunto “come sono andate le cose”.

 

Se questo è vero, dietro il luogo comune può peraltro nascondersi una distorta visione del divenire della società: vale a dire che l’evoluzione storica, così come si è effettivamente dispiegata nei secoli, sia in qualche modo inevitabile, l’unica possibile.

 

Lo storico sa, invece, che nelle vicende delle comunità e degli individui si nasconde sempre un intreccio fra spazi di libertà – gli spazi della responsabilità umana – e spazi di necessità – i condizionamenti che l’ambiente, nel suo significato più ampio, esercita. Introdurre qualche SE nella storia vuole appunto contribuire a mettere in risalto questo intreccio fra libertà e necessità, a valorizzare la complessità e le difficoltà delle scelte, mai univocamente predeterminate, degli uomini e delle comunità.

 

Non si tratta insomma di scrivere fiction, di proporre racconti fantastici e privi di rapporti con la storia tradizionale e con la documentazione.

 

Interrogarsi su vie diverse che potevano essere percorse può diventare così una occasione per affrontare in maniera inusuale alcuni aspetti dell’identità italiana, e di conoscere in modo gradevole per un pubblico non formato da addetti ai lavori alcuni nodi cruciali nella storia del Paese.

 

Il primo interrogativo (Se Vittorio Emanuele II non avesse strappato Roma a Pio IX nel 1870?) verrà affrontato dal prof. Alberto Melloni (docente di storia contemporanea all’Università Modena e Reggio Emilia) giovedì 23 febbraio, alle ore 17 (sala Spadolini della Biblioteca Oriani) e riguarda sostanzialmente la “questione romana” e il rapporto Stato nazionale e Chiesa nell’Italia contemporanea.

 

Il XX settembre 1870 i bersaglieri piemontesi entrarono a Roma attraverso la breccia di porta Pia: si compiva così l’unità d’Italia e la “Città Eterna”, che da secoli era il cuore dello Stato della Chiesa, poteva finalmente diventare la capitale del giovane regno sabaudo. Non fu una guerra sanguinosa, non vi furono atti di eroismo: le forze in campo erano troppo sbilanciate e nessuno aveva interesse a un bagno di sangue. Ma fino all’ultimo l’impresa era rimasta incerta vista la protezione che gli stati europei, e in particolare la Francia, avevano assicurato al papa. Se si tengono presenti le posizioni e i tentativi mazziniani e garibaldini, le resistenze della chiesa, le ingerenze francesi e austriache si possono legittimamente proporre percorsi diversi, congetture molteplici al problema di Roma capitale e del rapporto Stato nazionale - Chiesa cattolica. Gli eventi di quel fatale settembre 1870 hanno gettato a lungo la loro ombra nei decenni successivi e hanno condizionato i rapporti fra lo stato italiano e il mondo cattolico, dalla legge delle guarentigie per il papa al non expedit che interdiceva ai cattolici italiani la partecipazione alle elezioni, dalla fondazione di un partito popolare cattolico al concordato del 1929, e oltre. Ancora oggi il dibattito politico ne avverte l’eco, come mostrano anche i ripetuti interventi del presidente della Repubblica.

 

Il passato non si ripete meccanicamente e tanto meno si modifica con i nostri desideri, i nostri sogni, le nostre paure. Non resta che tentare di capirne qualcosa, anche per capire il nostro presente.

 

Introdurre qualche SE in questa vicenda forse ci aiuta a farlo meglio.

 

Alberto Melloni è professore di storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia. Fa parte della direzione delle riviste “Concilium” e “Cristianesimo nella storia”, oltre a collaborare con la RAI e il “Corriere della Sera”, di cui è apprezzato editorialista sui temi legati alla storia della Chiesa. È membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna, di cui dirige la biblioteca specializzata.

 

Autore di numerosi studi sulla storia del cristianesimo, su papa Giovanni e sul Concilio Vaticano II, ha pubblicato di recente Il conclave. Storia di una istituzione, Bologna, Il Mulino, 2000; L’altra Roma. Politica e S. Sede durante il concilio Vaticano II (1959-1965), Bologna, Il Mulino, 2000; l’edizione critica di A.G. Roncalli - Giovanni XXIII, Il giornale dell’Anima. Soliloqui, note e diari spirituali, Bologna, Il Mulino, 2003, e il fortunatissimo Chiesa madre, chiesa matrigna. Un discorso storico sul cristianesimo che cambia, Torino, Einaudi, 2004.

 

Prossimi incontri:

 

sabato 4 marzo, ore 17

 

Se Mussolini non fosse entrato in guerra nel 1940?

 

Emilio Gentile (Università di Roma “La Sapienza)

 

giovedì 16 marzo 2006, ore 17

 

Se le sinistre avessero vinto le elezioni nel 1948?

 

Silvio Pons (Università di Roma “Tor Vergata”)

 

Ricordiamo anche il ciclo realizzato lo scorso anno:
1. Se i «Turchi» avessero conquistato l’Italia nel Rinascimento? (Giovanni Ricci, ordinario di storia moderna, Università di Ferrara);
2. Se Garibaldi avesse rifiutato l’incontro di Teano con Vittorio Emanuele II? (Ernesto Galli della Loggia, ordinario di storia contemporanea, Università di Perugia);
3. Se Vittorio Emanuele III avesse firmato lo stato d’assedio durante la marcia su Roma? (Alberto De Bernardi, ordinario di storia contemporanea, Università di Bologna)

 

 

 



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