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Memoria e Ricerca

Il multimedia d'autore. Un linguaggio per la memoria del futuro?

di Luca Toschi
in Memoria e Ricerca n.s. 3 (1999), p. 41


1. Alcune considerazioni preliminari.
Sarà colpa del marketing, della società di massa, dei mass e dei new media, del buco nell’ozono; oppure semplicemente perché è così da quando l’uomo ha inventato le parole. Sta di fatto che alcune di esse ci accompagnano nella nostra vita quotidiana in maniera tale che quanto più, vedendole e ascoltandole, risultano familiari, ci rassicurano, facendoci credere di avere la situazione sotto controllo, tanto più concorrono a seminare confusione e ambiguità. Fra questi angeli custodi svettano termini come "ipertesto", "multimedialità", "ipermedialità". Parole che fanno pulsare il cuore di un trend commerciale internazionale di valore immenso, ma il cui uso è incerto, spesso contraddittorio.(1)
La confusione è grande, specie perché si tende a confondere il mezzo di comunicazione con il testo; magari all’insegna del convincimento che ci si trovi davanti ad una svolta tecnologica che mentre potenzia in maniera incredibile la comunicazione indebolisce di fatto il testo; così almeno come tradizionalmente lo avevamo concepito.
Viceversa è forte come non mai; fortissimo nella sua capacità comunicativa, espressiva, persuasiva. E prima di tutto perché resosi poco visibile. Debole è la nostra capacità di riconoscere il linguaggio, l’uso che ne facciamo, la nostra sensibilitànell’identificarne i testi, di leggerli, di scriverli. La questione della multimedialità,quindi, è il problema di un linguaggio nuovo, che sta nascendo sotto i nostri occhi, ma le cui radici sono culturalmente e tecnologicamente lontane. Ridurlo ad una questione tecnica, quasi amministrativa, restringerlo a materia fra le materie significa affossare le componenti certamente innovative che esso presenta, ma tali solo se inquadrate in uno scenario assai più complesso, anche politico.
 
 
2. Verso l’infinitamente piccolo; perché tutto appaia uguale.
In questi ultimi anni, con un’accelerazione impressionante, l’’inedito’ è diventato esperienza quotidiana.
In questi ultimi anni, con un’accelerazione impressionante, l’’inedito’ è diventato esperienza quotidiana.
Portato dai tubi catodici e dalle antenne paraboliche, per lo più all’ora dei pasti; incontrato ai semafori; segnato da una disoccupazione che è indice di una svolta nella concezione del modo stesso di lavorare; dai più viene vissuto come un ‘assalto’ alla cittadella dei parametri e delle grandezze note a cui si può rispondere in maniera opposta. Se l’altro’ si presenta sotto le vesti di una tecnologia nuova – per esempio di un computer multimediale (MPC) e relativo World Wide Web (WWW) – è temuto fino all’ammirazione, all’amore, alla passione; come potrebbe, del resto essere diversamente, essendo la conferma dei tempi sempre magnifici e progressivi? Se, viceversa, l’uomo planetario compare con segni ignoti, con vesti inevitabilmente sconosciute perché portatrici di un’umanità nuova, mai vista, esso viene evitato come la peste.
Su entrambi i fronti è fortissimo il bisogno di definizione: "de-finire", "parametrare" ciò che ha in sé parametri inediti, sconosciuti, continua ad essere l’operazione ricorrente. Perché è la continuità il valore che si cerca di difendere, anche se non soprattutto quando si assumono atteggiamenti tecnologicamente nuovistici.
Così si procede sempre e comunque analizzando, dividendo, smembrando ciò che non si riconosce con la speranza di ridurlo a parti singolarmente consuete. Si paragona, si confronta; si trovano somiglianze confortanti, differenze insanabili, si cede saggiamente alla necessità di un compromesso, ci si irrigidisce. Ma sempre isolando i singoli elementi, nella speranza di cancellarne la sintassi connettiva, associativa, la struttura stessa che dà loro significato e valore. Domina la retorica della frammentazione, una ricerca esasperante della modularità. La logica congiuntiva, quindi, di ogni singolo elemento si caratterizza per l’universalità degli standard che dovrebbero garantire il collegamento di tutto a tutto: cioè il suo sostanziale isolamento.
A livello linguistico, dalla pubblicità al cinema, da un programma televisivo all’ultimo romanzo, la tendenza è quella di proporre sequenze di segmenti, moduli di espressione e di comunicazione, appunto, che il lettore-spettatore è chiamato a organizzare in trama, in messaggio.
Unità di significato dalla polivalenza strutturale, prive, cioè, di dati aggreganti specifici, di indicazioni certe non solo su una loro collocazione all’interno di un sistema ma, addirittura, sull’appartenenza ad una struttura invece che ad un’altra.
Struttura che, di conseguenza, rispetto alle altre si presenta a sua volta, qualora se ne ammetta il valore - il che per lo più non accade -, come modulo.
Nel mezzo di questo scenario, fra queste due entità non comunicanti, i frammenti e la struttura, che al contrario c’è ed è ben forte, si ergerebbe fortissima, quasi infallibile, la funzione interpretativa, vale a dire associativa, di assemblaggio, dell’individuo; l’individuo vincente, come mai, sulla realtà, giacché regista della tessitura profonda, delle forze aggregatrici dell’essere.
In realtà è vero il contrario.
Per restare nell’ambito della multimedialità, dominata dalla parola "interazione", il lettore-autore-navigatore, per quanto armato di mouse, tastiera, puntatori vari, è sì aiutato nell’accumulo dei dati, ma circa la loro natura, circa la logica che ne garantisce la memorizzazione e il recupero, il problema non si risolve; accentuato anzi da una visione asettica, super partes, precritica, di servizio, ideologicamente di grado zero, della tecnologia multimediale.
Si pensi, preliminarmente, al mito trionfante della memoria infinita, prossima ventura.
Infinita sul proprio personal computer, infinita come lo può essere la citata WWW. Archiviare, memorizzare tutto. Immersi in un presente che genera se stesso, che non ha tempo, privo cioè del tempo della critica, della riflessione, vivendo tutto in una diretta interminabile, inevitabile. Un’esplorazione a vista, quotidiana; una sperimentazione i cui parametri possono essere definiti, semmai, solo a posteriori. Dove la ricerca avviene fuori dal tempo, esime quindi da ogni assunzione di responsabilità verso la definizione degli obiettivi e dei risultati. Garantita per di più dalla possibilità, concessa dalle nuove tecnologie, di pensare che in ogni momento sarebbe possibile fermarci e rivedere e risentire, cioè ricordare tutto.
Ma la memoria è un atto di volontà, è azione sul presente, inevitabilmente critica; è scelta. Lo si voglia o no. Il fatto che oggi la valenza interpretativa della memoria sia oscurata, negata dal problema del contenimento meccanico, fa torto all’uomo, all’effettivo grande aiuto che può venirci dalle macchine. La filologia e lo storicismo, proposte come una facile via d’uscita dalla crisi delle ideologie, e quindi snaturate, fraintese, hanno contribuito pesantemente al rafforzamento di quest’inganno. La cui strategia ha una matrice chiaramente politica; nel senso più lato del termine. Come si può facilmente ricavare dalla potenza e dalla funzionalità della retorica dell’assenza. Il grande ventre tutto significa, tutto contiene: anche lamultimedialità, e le sue parole. Ma vediamolo da vicino. 
 
 
3. Il linguaggio multimediale.
Sull’autorevole Computer Dictionary della Microsoft Press, aggiornato quotidianamente dal relativo sito WWW, alla voce "multimedia" si legge trattarsi della combinazione di "sound, graphics, animation and video. In the world of computer, multimedia is a subset of hypermedia, which combines the aforementioned elements with hypertext". Dopo di che si rinvia a "hypermedia" e a "hypertext".
Sull’autorevole della Microsoft Press, aggiornato quotidianamente dal relativo sito WWW, alla voce "multimedia" si legge trattarsi della combinazione di "sound, graphics, animation and video. In the world of computer, multimedia is a subset of hypermedia, which combines the aforementioned elements with hypertext". Dopo di che si rinvia a "hypermedia" e a "hypertext".
Il primo di questi due termini indica "integration" di qualsiasi combinazione di "text, graphics, sound, and video into a primarily associative system of information storage and retrieval": qui gli utenti possono saltare da un soggetto ad un altro in cerca di informazioni. Si tratta di uno strumento che cerca di porsi, rispetto ad un ambiente di lavoro o di studio, in linea con il modo umano di pensare, basato sulle associazioni fra "topics" diversi, piuttosto che su sequenze "from one to the next, as in an alphabetic list".
Si avverte, quindi, che la struttura interna, la strategia di accesso e di lettura di un ipermedia presenta caratteristiche fisiche, materiali tali da rendere l’ "information storage" e relativo utilizzo di natura diversa e assai più efficace. La novità sta essenzialmente nella possibilità offerta dal testo elettronico di collegare dati che i sistemi di scrittura e di lettura tradizionali affidavano a supporti diversi, creando percorsi informativi inediti. La videocassetta aveva bisogno del videoregistratore, il disco musicale del giradischi (dal vinile al lettore di CD), il libro della carta, la fotografia della pellicola e di relativa carta, l’audiocassetta del registratore ecc.: supporti diversi per le immagini, i suoni, lo scritto. L’impianto digitale, basato su una combinazione di 0\1, permette che tutto ciò possa essere affidato – al di là delle problematiche relative ad un’operazione del genere - ad un unico supporto, consentendo così di costruire tutti i collegamenti che si vuole fra testi che tradizionalmente restavano inaccostabili, se non utilizzando quella scrittura speciale che è la memoria umana.
In questa prospettiva la differenza fra "hypermedia" e il più antico "hypertext" (1965) sta nel fatto che se "the information is primarily in text form, it is regarded as hypertext; if video, music, animation, or other elements are included, the information
is regarded as hypermedia".
L’ipertesto quindi è un "text linked together in a complex, nonsequential web of associations": la centralità attribuita alle parole scritte – in via, ormai, di rapido esaurimento - trova la sua ragion d’essere nella storia di questa forma di scrittura. Le immagini e i suoni sono arrivati solo recentemente nei computer: l’obiettivo reticolare è nato essenzialmente come rete di testi alfabetici (text), perché questo passava la tecnologia fino a pochi anni fa. Ma cambiando lo scenario tecnologico, anche la terminologia sta cercando di adeguarsi: così, giorno dopo giorno, quanto più l’"ipertestualità", il motore associativo con cui le varie informazioni possono essere concatenate, non sequenzialmente, le une alle altre, si afferma coinvolgendo anche i codici sonori e visivi, tanto più è la parola "multimediale" ad affermarsi, sostenuta dal favore che sta incontrando a livello commerciale - nella lingua italiana è passata attraverso l’espressione "ipertesto multimediale" -.
Semplificazione che di per sé è tutt’altro che sbagliata. Perché il computer ormai, oltre a collegare codici diversi, collega anche macchine diverse, media diversi, nel senso che li gestisce facendoli interagire.
Ma tutte queste meraviglie non garantiscono molto. Offrire all’espressione e alla comunicazione un supporto nuovo non significa ancora avere realizzato un linguaggio. Riassumiamo che cosa oggi si intende indicare con "multimediale":
MM1. un testo multimediale, un multimedia (ancora, a volte, chiamato ipertesto)
on line e off line, per ‘leggere’ il quale è necessario
e , per ‘leggere’ il quale è necessario
MM2. un Multimedia Personal Computer (MPC), una sola macchina, con tanti dispositivi periferici, che può comportarsi come tante macchine diverse. L’MPC, infatti, racchiude in sé il lettore di CD di varia natura, di DVD, il televisore, il fax, il telefono, una macchina per stampare di tutto (fotografie comprese) su tutto, un altro per montare audiovisivi, un altro per scrivere lettere, libri, biglietti da visita,per suonare, per registrare ecc.. Insomma, l’MPC permette di:
MM2.1 -- ‘leggere’, vedere, ascoltare testi di diversa natura e provenienza (via cavi vari, via etere o altro);
MM2.2 -- ‘scriverli’, realizzarli, produrli;
MM2.3 -- comunicarli.
MM3. l’estensione dell’MPC a una rete: la più nota è Internet, un insieme mondiale di reti, collegate fra loro tramite il protocollo TCP/IP, che fornisce servizi quali FTP, gestione file remoti, posta elettronica, il WWW - un insieme strutturato in tanti URL (indirizzi) di pagine elettroniche, scritte in HTML e rese accessibili tramite il protocollo HTTP -, le news di Usenet, Intranet ecc.;
MM4. l’uso di differenti mezzi d’espressione e di comunicazione (non necessariamente mass media) che, interagendo gli uni con gli altri – e non necessariamente mediante computer -, ognuno con un proprio testo, danno vita ad un'unica opera.
La larghezza della banda di oscillazione semantica spiega bene, quindi, la fase sperimentale che si sta attraversando e che investe l’intera società, essendo trasversale rispetto sia all’età, sia al ceto sociale (si pensi alla centralità che sta assumendo il capitolo "formazione permanente").
In questo scenario le difficoltà incontrate dalla scuola, a cui è stato affidato il compito di avviare un’alfabetizzazione multimediale capillare, assumono un valore emblematico delle vicende che questo linguaggio sta attraversando nell’intera comunità, per molti aspetti anche internazionale.
In particolare grande è la confusione, nel modo di avvicinarsi al Multimedia Personal Computer (MPC), fra un uso dell’MPC per fare didattica in genere (A1) e didattica del linguaggio multimediale (A2).
Nel primo caso, cioè, si tratta di strumenti con motore digitale, di varia natura, che possono essere adoprati nell’insegnare e nell’apprendere: testi multimediali (on line, off line – MM1) su questa o quella materia e uso in genere dell’MPC (MM2), anche per comunicare (MM3).
Nel secondo, invece, si pone l’urgenza di insegnare quando e come avvalersi del nuovo linguaggio, sia a livello espressivo che comunicativo (MM2.1; MM2.2; MM2.3). Il che significa capire la natura dell’e-text, il cui aspetto principale, per quanto non sia il solo, è rappresentato dalla possibilità di adoprare contestualmente parole, immagini e suoni, realizzando testi interattivi on line e/o off line: badando a sottolineare che la peculiarità dell’interazione può riguardare sia
la sintassi interna ad un ‘testo’ elettronico sia
la sintassi esterna, e cioè il rapporto che esso può stabilire
- con altri testi elettronici dello stesso genere oppure di genere diverso; ma anche
- con testi espressi da altri linguaggi ed affidati ad altri supporti (MM4).
Gli insegnati hanno investito ingenti risorse, specialmente private, personali, per realizzare degli ipertesti (così si preferisce ancora chiamare i multimedia nelle scuole). Questi elaborati (appartenenti al punto A1) sono interessanti e importanti ma soprattutto - e contrariamente, nella maggior parte dei casi, alle intenzioni degli autori - nella prospettiva relativa al punto A2: come palestra di scrittura e di analisi della stessa. Certo che scrivere in genere, e a maggior ragione in maniera multimediale, al di là dei risultati raggiunti, può rivelarsi uno strumento di grande efficacia per studiare, riflettere su un argomento specifico (storia, letteratura, matematica, scienze, musica, ambiente, diritti umani ecc.).
Ma questo pur rilevante aspetto, di fatto, va a rafforzare l’idea, oggi dominante, che la scrittura multimediale - ultima nata di una civiltà dove l’immagine e il suono continuano, purtroppo, ad essere ritenuti segnali di facile, quasi naturale, spontanea interpretazione - non abbia uno statuto linguistico e retorico peculiare, difficile. Quasi che la semplificazione tecnica, che permette finalmente di elaborare su un unico supporto codici tradizionalmente affidati a supporti diversi, significasse il trionfo di una visione istintiva, naturale dell’espressione e, viceversa, la morte della competenza, della perizia, dello studio.
E proprio questo è il punto debole, contraddittorio, dell’alfabetizzazione nell’intera comunità internazionale. Ne è specchio eloquente l’uso linguisticamente povero, quasi primitivo, di uno strumento alla portata di tutti come Internet.
 
 
4. Tutti autori alla ricca Fiera delle illusioni
Negli insegnanti il riscontro più evidente di questa situazione è il duplice senso, da una parte, di motivato orgoglio per la consapevolezza di essere un’avanguardia d’importanza strategica e, dall’altra, di insoddisfazione per la qualità ‘editoriale’ -sarebbe meglio dire linguistica - dei testi multimediali da loro realizzati.
Negli insegnanti il riscontro più evidente di questa situazione è il duplice senso, da una parte, di motivato orgoglio per la consapevolezza di essere un’avanguardia d’importanza strategica e, dall’altra, di insoddisfazione per la qualità ‘editoriale’ -sarebbe meglio dire linguistica - dei testi multimediali da loro realizzati.
Hanno ragione, perché si sentono costretti a fare un mestiere che non è il loro. Dovrebbero essere gli editori, infatti, ad approntare opere multimediali specifiche per questa o quella materia, avvalendosi e coordinando competenze professionali di tipo didattico, scientifico, multimediale, informatico, editoriale appunto, grafico, musicale, tipografico, commerciale ecc. Nel vuoto generale creato dall’impresa privata, che aspetta secondo una brillante prospettiva imprenditoriale sovvenzioni pubbliche per partire - sotto forma di adozioni scolastiche sicure -, non ha molto senso che gli insegnanti si inventino tutte quelle competenze, magari sulla scia di corsi d’aggiornamento o di acquisti di hard/software presto datati. Anzi può rivelarsi diseducativo e pericoloso; perché questa logica del "fare di necessità virtù", se conferma, ancora una volta, la sensibilità sociale e umana della stragrande maggioranza di chi decide di dedicarsi all’insegnamento, è anche indice del livello di abbandono grave a cui questi lavoratori sono stati relegati, contribuendo a rafforzare, nel caso della multimedialità, l’idea dell’inesistenza di un linguaggio specifico.
Viceversa, oggi è fondamentale spiegare e rispiegare che la multimedialità è un linguaggio, nuovo, importante e assai complesso; che va riconosciuto come tale, insegnato, studiato, capito, governato. Un linguaggio, appunto. Avvertire che l’apparente semplicità dell’interazione, la falsa leggerezza degli infiniti clic del mouse - tecnologico telecomando dell’ultima generazione troppo rapidamente identificato con uno strumento capace, di per sé, di sviluppare il senso critico del computer-spettatore: ogni scatto metallico una decisione, una scelta -, comunicano sempre e comunque un testo (si tratti della guida turistica ad una città d’arte o di un corso di lingua straniera o di un videogioco, on o off line); un testo assai forte che trasmette una precisa visione del mondo, una concezione del vivere sociale, della polis. Se si ignora o si sottovaluta questo fatto, la nostra mente e il nostro cuore risultano indifesi; storditi e schiacciati fra la disarmante semplicità dei clic e la selva oscura di programmi complicati e sempre in continua trasformazione: un know how la cui ragion d’essere, per i più, rischia di essere quella di riprodurre se stesso secondo strategie di marketing ben precise. L’obiettivo deve essere quello di rinnovare le forme di comunicazione e d’espressione, ma ampliando gli spazi di creatività per l’individuo, il suo senso critico, difendendolo dal predominio delle macchine, o meglio degli interessi economici di cui ‘questi’ hardware, ‘questi’ software sono paladini.
 
 
5. Alla ricerca dell’autore perduto.
"Questi", si diceva, perché appare indispensabile cercare di cambiare radicalmente atteggiamento davanti all’alfabetizzazione elettronica in corso – sperando così di contribuire ad un altrettanto profondo cambiamento di rotta nell’offerta dello hard/soft-ware - impostazione che va a scapito della prima parte del lungo cammino che porta alla realizzazione di un multimedia: quella dominata dalla ricerca autoriale sui contenuti e sul linguaggio, dove l’individuo è ancora in grado di giocare tutta la propria inventiva senza per questo dover essere esperto del funzionamento dei vari programmi. Gli basta sapere, infatti - e ciò comporta, comunque, un’attenta, specifica preparazione professionale -, quello che questo o quel programma può e non può esprimere.
"Questi", si diceva, perché appare indispensabile cercare di cambiare radicalmente atteggiamento davanti all’alfabetizzazione elettronica in corso – sperando così di contribuire ad un altrettanto profondo cambiamento di rotta nell’offerta dello - impostazione che va a scapito della prima parte del lungo cammino che porta alla realizzazione di un multimedia: quella dominata dalla ricerca autoriale sui contenuti e sul linguaggio, dove l’individuo è ancora in grado di giocare tutta la propria inventiva senza per questo dover essere esperto del funzionamento dei vari programmi. Gli basta sapere, infatti - e ciò comporta, comunque, un’attenta, specifica preparazione professionale -, quello che questo o quel programma può e non può esprimere.
È la parte dominata dall’ideazione del testo, dalla raccolta dei dati, dalla realizzazione di una struttura idonea, dalla definizione della modalità di lettura proposta agli utenti (insomma che tipo di interazione offrire), dalla preparazione dei dati stessi in vista del montaggio vero e proprio del multimedia, la stesura dettagliata, quindi, di quella che comunemente e troppo genericamente viene chiamata ‘sceneggiatura’.
"Scrivere la sceneggiatura" – adottando anche qui questa definizione assolutamente insufficiente e fuorviante - riassume tutte le fondamentali e numerose operazioni che precedono l’uso dei software specifici (tools di authoring, programmi di grafica, di modellazione 3D, editor per video e per audio ecc.): solo dopo che questa scrittura d’autore si sarà conclusa, infatti, si procederà al montaggio - che è a tutti gli effetti un’altra forma di scrittura - per cui saranno necessarie competenze specifiche a livello informatico; un lavoro, quest’ultimo, che, in un grossolano confronto con la produzione di un libro, potrebbero essere paragonate alla ‘scrittura’propria di coloro che lavorano in una casa editrice e in una tipografia.
L’obiettivo fondamentale di questa scelta strategica è quello di ridefinire criticamente la cultura del "fai da te", che sembra aver trovato nel campo dellamultimedialità la sua legittimazione definitiva.
Il fenomeno viene da lontano. Le sue origini più rilevanti affondano nello sviluppo tecnico-industriale di primo Ottocento; ma negli ultimi decenni ha vissuto un’accelerazione inimmaginabile: si pensi, per esempio, alla fotocopiatrice dei primi anni Settanta, oppure alla videocamera dei primi anni Ottanta, alle fotocamere digitali (scatti, osservi sul video, correggi e stampi) della fine degli anni Novanta. L’MPC sembra esaltare questa tendenza offrendo possibilità eccezionali. Per esempio, anche senza pensare a cose troppo complicate, restando sempre nel campo del vecchio, tradizionale libro, consente di fare desktop publishing (DTP): un calcolatore, cioè, e alcuni software particolari (per l’elaborazione testi alfabetici, delle immagini, per l’impaginazione) danno l’illusione a chiunque sappia un po’ digitare di poter diventare editore o tipografo.
Ma avere - si sa - non è essere. Così la possibilità di disporre di più strumentazioni su una sola macchina (MPC) – ripetiamolo - non significa conoscerne l’arte, possederne le relative competenze professionali. Editare, pubblicare, stampare sono linguaggi assai complessi: il rinnovamento e l’ammodernamento dal punto di vista tecnico comporta una ridefinizione delle relative competenze professionali non una loro cancellazione.
Eppure il rischio di sbronze da onnipotenza è grande. Si ricordi Internet, dove mettere giù qualche schermata per un sito Web significa, ormai, ‘pubblicare’. La promozione commerciale del settore va tutta in questa direzione; affermando, per di più, di vedere in questa tendenza i segni di una rinascente libertà, di una potente democrazia, resa forte da una fulgida tecnologia. Computer sempre più potenti, programmi sempre più professionali, comunicazioni sempre più planetarie sono gli elementi di questo teatrino delle illusioni.
Dinanzi al dilagare, quindi, di una mentalità marketing-centrica, ribadire l’importanza della complessità e della varietà, cercare di distinguere, capire e valorizzare i tanti stadi compositivi attraverso cui passa la realizzazione di un testo multimediale, individuandone le relative e specifiche professionalità, è operazione di grande rilevanza sociale, culturale. Perché mentre si torna ad affermare la necessità di tante e differenti competenze, si svuota, è vero, il mito oggi vincente dell’individuo che, reso onnipotente dalla muscolatura delle macchine, può fare tutto da solo, bastando a se stesso; ma questo non significa impoverire l’importanza della presenza individuale. Al contrario, si tratta di difendere e di rilanciare la centralità della persona seppure su un piano opposto, quello dell’orchestrazione delle competenze individuali, riqualificate e arricchite dallo sforzo comune di raggiungere un obiettivo così alto da essere impensabile per le risorse del singolo.
La ricerca della qualità diventa così strategica.
Nel caso specifico della scrittura di un multimedia, restituire priorità alla fase autoriale, a tutti i livelli, dall’autore – l’esperto della materia, una volta si considerava il vero, il solo autore - al direttore editoriale, al tipografo (termini tradizionali che si cerca qui di adattare ad un quadro totalmente diverso), vuol dire puntare sulla qualità. E ricordando bene che le parti editoriale e tipografica misurano la propria efficacia, il proprio valore non in astratto, secondo parametri autonomi, ma soltanto in riferimento ad un preciso testo d’autore a cui si rapportano, in un comune sforzo di comunicazione e di espressione.
Eppure, se si va ad osservare il valore dato fino ad oggi al tipo di risorse e di investimenti, la situazione potrebbe essere raffigurata come una piramide particolare, perché capovolta. In basso, la base d’appoggio è minima, giacché minime sono le risorse investite nel lavoro dell’autore; in alto, minaccioso, paurosamente oscillante nel vuoto, un vertice immenso, costoso, impegnativo, raffigurante il lavoro informatico, considerato zona franca da tutto il resto, autosufficiente:
La conseguenza è che la maggior parte dei multimedia oggi in commercio (leggi CD-ROM e siti Web; altro il discorso per i videogiochi) sono di scarsa utilità, trattandosi perlopiù di trasposizioni su supporto digitale di libri o, in genere, di testi cartacei. Né questa logica, per ora almeno, sembra essere messa in crisi dall’avvento del DVD, potentissimo supporto capace di contenere interi film. L’unica differenza degna di nota pare la sostituzione della retorica cartacea con quella audiovisiva. Il linguaggio multimediale continua ad essere il grande assente.
 
 
6. Bastasse archiviare, memorizzare….
In questa situazione non è certo un caso che i migliori prodotti editoriali, i testi più efficaci, siano quelli che mantenendo una logica cartacea, restando dentro i solchi tradizionali e sicuri di generi esistenti, ne valorizzano la funzionalità: le enciclopedie, i dizionari, i repertori, opere di consultazione. Oppure le banche dati. Bisogna ammetterlo, se si vuole andare oltre l’esistente: la multimedialità, nella maggior parte dei casi, non ha fatto altro che potenziare, a volte in maniera stupefacente, forme di ‘scrittura’, di ‘lettura’, di memoria preesistenti. Il che le ha permesso certamente di contenere i costi, ma così non è riuscita a ideare qualche cosa di veramente nuovo. Insomma a dare vita ad un linguaggio inedito che avesse i suoi generi, i suoi stili.
In questa situazione non è certo un caso che i migliori prodotti editoriali, i testi più efficaci, siano quelli che mantenendo una logica cartacea, restando dentro i solchi tradizionali e sicuri di generi esistenti, ne valorizzano la funzionalità: le enciclopedie, i dizionari, i repertori, opere di consultazione. Oppure le banche dati. Bisogna ammetterlo, se si vuole andare oltre l’esistente: la multimedialità, nella maggior parte dei casi, non ha fatto altro che potenziare, a volte in maniera stupefacente, forme di ‘scrittura’, di ‘lettura’, di memoria preesistenti. Il che le ha permesso certamente di contenere i costi, ma così non è riuscita a ideare qualche cosa di veramente nuovo. Insomma a dare vita ad un linguaggio inedito che avesse i suoi generi, i suoi stili.
Ma per fare questo è necessario abbandonare la retorica della frammentazione, la ricerca esasperata della modularità, dominante nella cultura di oggi.
Il testo multimediale, cioè, esprime e comunica tramite l’interazione di più codici (di natura visiva o/e sonora) i quali danno vita ad unità minime di significato (per semplificare la schermata, intendendo per quest’ultima tutto ciò che l’autore vuole che il lettore percepisca fra un clic e l’altro). La sintassi dell’interazione fra questi codici, nella maggior parte dei casi, viene interpretata, a livello di scrittura e quindi di lettura, in maniera modulare: nel senso che il legame è tale da realizzazione informatica elaborazione d’autore decontestualizzare ognuno di essi dagli altri, per cui il testo alfabetico, l’immagine, il testo sonoro o quant’altro vengono proposti e interpretati individualmente, come parti sì correlate ma separate, non unità di significato cementate fra loro al punto da dare vita ad un’unità di significato superiore. Per cui la suddetta schermata si configura come un contenitore di significati che la mente del lettore deve sforzarsi di amalgamare.
Il quale lettore, quindi, recepisce gli stimoli visivi e sonori destrutturati, non un testo unitario, sincretico, risultato di una sintesi espressiva fra le sue varie componenti. Domina una funzione appositiva. Di fatto, sia che ci si trovi davanti un’enciclopedia, un corso di lingua straniera, un atlante autostradale, una guida alla cucina italiana, agli Uffizi, all’ascolto della 5a sinfonia di Ludwig van Beethoven, all’oroscopo, alle pagine gialle di Internet, al Windsurf, alla Mafia, ai Codici civile, penale, al medico in casa, a van Gogh, a Parigi, al Cinquecento italiano, a Balzac, a Verga, a Pirandello, al cielo stellato, a come vincere al Lotto ecc., l’impianto testuale è lo stesso, un genere più o meno identico, per tabelle correlate fra loro, sempre estranee ad una sintassi amalgamante. Per questo la parola più giusta per definire questo tipo di pubblicazioni sembra essere "data base", con record e campi associati: l’obiettivo restando quello di mettere l’utente in condizione di accedere alle informazioni che cerca.
La situazione non migliora molto se si affronta l’area dell’archiviazione. Sì perché proprio in quanto tutto sembra andare in quella direzione, si finisce con il perdere di vista un elemento importantissimo che è la specificità ‘testuale’ propria di questo genere; aspetto di cui si dovrebbe tenere conto quanto più si cerca di creare uno strumento di lavoro efficiente. Viceversa, proprio perché il genere, come sottolineato, domina ovunque, è onnipresente – arrivando addirittura a identificarlo con il supporto digitale, con il linguaggio multimediale - si rischia di sottovalutarne la specificità proprio là dove, viceversa, dovrebbe essere valorizzata. L’efficacia di una raccolta di dati, infatti, non sta nell’offerta di dati metafisicamente puri, bensì nella capacità di scelte critiche che, mentre propongono un’interpretazione comunque inevitabile, ne dichiarano lucidamente e inequivocabilmente i criteri ispiratori.
Le fotografie che qui si pubblicano in appendice, relative alla vita pubblica a Firenze durante il periodo fascista, provengono dall’Archivio fotografico Locchi di questa città. Si tratta, come sanno gli esperti, di un’eccezionale raccolta di documenti che solo da pochi mesi i proprietari hanno deciso di mettere a disposizione dei ricercatori: già notissimi, comunque, i documenti sulla visita in Italia di Hitler, così come celebri i servizi sul Giro d’Italia, sulle Mille Miglia, sul passaggio della seconda guerra, sull’alluvione. Si tratta di oltre tre milioni di fotogrammi provenienti da uno studio fotografico che dal 1934 fu impegnato, secondo una scelta lungimirante, a realizzare una ricca banca dati sulla vita quotidiana a Firenze e nella Provincia.
La bellezza e la quantità dei dati che ogni fotogramma di questa raccolta racchiude in sé è oggetto di una ricerca che i proprietari e il Gruppo Cecchi Gori – coinvolto nel progetto di valorizzazione di questo patrimonio - ha affidato a chi scrive. La scommessa è di poter usare la multimedialità come strumento rigoroso di archiviazione e al tempo stesso di ‘spettacolarizzazione’ di questo giacimento culturale, nella convinzione che dati e racconto dei dati siano due aspetti inscindibili della buona filologia.
 
Bargino (Firenze), 18 gennaio 1999
Luca Toschi
 
1) Queste note riprendono spunti già trattati in miei precedenti contributi, a cui rinvio per eventuali approfondimenti:
L. T., L’ipertesto d’autore, Venezia, Marsilio, 1996 (con CD-ROM);
L. T., Una, cento, mille multimedialità. Per una definizione, in Letteratura e mercato: la scoperta dell’immagine. Verga, a cura di L. T., Venezia, Marsilio, 1998 (con CDROM);
Autori vari, Effetti di un sogno interrotto. Pirandello e un film da fare, a cura di L. T., Venezia, Marsilio, 1998 (CD-ROM); L. T., Retorica del linguaggio multimediale, in Arte della persuasione e processo, a cura di A. Traversi, Milano, Giuffrè, 1998;Cinque parole per la pace, a cura di L. T., San Domenico di Fiesole,
, a cura di L. T., San Domenico di Fiesole,
ECP, 1998. Per altre informazioni: toschi@cesit1.unifi.it.
Sarà colpa del marketing, della società di massa, dei mass e dei new media, del buco nell’ozono; oppure semplicemente perché è così da quando l’uomo ha inventato le parole. Sta di fatto che alcune di esse ci accompagnano nella nostra vita quotidiana in maniera tale che quanto più, vedendole e ascoltandole, risultano familiari, ci rassicurano, facendoci credere di avere la situazione sotto controllo, tanto più concorrono a seminare confusione e ambiguità. Fra questi angeli custodi svettano termini come "ipertesto", "multimedialità", "ipermedialità". Parole che fanno pulsare il cuore di un commerciale internazionale di valore immenso, ma il cui uso è incerto, spesso contraddittorio.(1)In questi ultimi anni, con un’accelerazione impressionante, l’’inedito’ è diventato esperienza quotidiana.Sull’autorevole della Microsoft Press, aggiornato quotidianamente dal relativo sito WWW, alla voce "multimedia" si legge trattarsi della combinazione di "sound, graphics, animation and video. In the world of computer, multimedia is a subset of hypermedia, which combines the aforementioned elements with hypertext". Dopo di che si rinvia a "hypermedia" e a "hypertext".e , per ‘leggere’ il quale è necessarioNegli insegnanti il riscontro più evidente di questa situazione è il duplice senso, da una parte, di motivato orgoglio per la consapevolezza di essere un’avanguardia d’importanza strategica e, dall’altra, di insoddisfazione per la qualità ‘editoriale’ -sarebbe meglio dire linguistica - dei testi multimediali da loro realizzati."Questi", si diceva, perché appare indispensabile cercare di cambiare radicalmente atteggiamento davanti all’alfabetizzazione elettronica in corso – sperando così di contribuire ad un altrettanto profondo cambiamento di rotta nell’offerta dello - impostazione che va a scapito della prima parte del lungo cammino che porta alla realizzazione di un multimedia: quella dominata dalla ricerca autoriale sui contenuti e sul linguaggio, dove l’individuo è ancora in grado di giocare tutta la propria inventiva senza per questo dover essere esperto del funzionamento dei vari programmi. Gli basta sapere, infatti - e ciò comporta, comunque, un’attenta, specifica preparazione professionale -, quello che questo o quel programma può e non può esprimere.In questa situazione non è certo un caso che i migliori prodotti editoriali, i testi più efficaci, siano quelli che mantenendo una logica cartacea, restando dentro i solchi tradizionali e sicuri di generi esistenti, ne valorizzano la funzionalità: le enciclopedie, i dizionari, i repertori, opere di consultazione. Oppure le banche dati. Bisogna ammetterlo, se si vuole andare oltre l’esistente: la multimedialità, nella maggior parte dei casi, non ha fatto altro che potenziare, a volte in maniera stupefacente, forme di ‘scrittura’, di ‘lettura’, di memoria preesistenti. Il che le ha permesso certamente di contenere i costi, ma così non è riuscita a ideare qualche cosa di veramente nuovo. Insomma a dare vita ad un linguaggio inedito che avesse i suoi generi, i suoi stili., a cura di L. T., San Domenico di Fiesole,