MM4. l’uso di differenti mezzi d’espressione e di comunicazione (non necessariamente mass media) che, interagendo gli uni con gli altri – e non necessariamente mediante computer -, ognuno con un proprio testo, danno vita ad un'unica opera.
La larghezza della banda di oscillazione semantica spiega bene, quindi, la fase sperimentale che si sta attraversando e che investe l’intera società, essendo trasversale rispetto sia all’età, sia al ceto sociale (si pensi alla centralità che sta assumendo il capitolo "formazione permanente").
In questo scenario le difficoltà incontrate dalla scuola, a cui è stato affidato il compito di avviare un’alfabetizzazione multimediale capillare, assumono un valore emblematico delle vicende che questo linguaggio sta attraversando nell’intera comunità, per molti aspetti anche internazionale.
In particolare grande è la confusione, nel modo di avvicinarsi al Multimedia Personal Computer (MPC), fra un uso dell’MPC per fare didattica in genere (A1) e didattica del linguaggio multimediale (A2).
Nel primo caso, cioè, si tratta di strumenti con motore digitale, di varia natura, che possono essere adoprati nell’insegnare e nell’apprendere: testi multimediali (on line, off line – MM1) su questa o quella materia e uso in genere dell’MPC (MM2), anche per comunicare (MM3).
Nel secondo, invece, si pone l’urgenza di insegnare quando e come avvalersi del nuovo linguaggio, sia a livello espressivo che comunicativo (MM2.1; MM2.2; MM2.3). Il che significa capire la natura dell’e-text, il cui aspetto principale, per quanto non sia il solo, è rappresentato dalla possibilità di adoprare contestualmente parole, immagini e suoni, realizzando testi interattivi on line e/o off line: badando a sottolineare che la peculiarità dell’interazione può riguardare sia
la sintassi interna ad un ‘testo’ elettronico sia
la sintassi esterna, e cioè il rapporto che esso può stabilire
- con altri testi elettronici dello stesso genere oppure di genere diverso; ma anche
- con testi espressi da altri linguaggi ed affidati ad altri supporti (MM4).
Gli insegnati hanno investito ingenti risorse, specialmente private, personali, per realizzare degli ipertesti (così si preferisce ancora chiamare i multimedia nelle scuole). Questi elaborati (appartenenti al punto A1) sono interessanti e importanti ma soprattutto - e contrariamente, nella maggior parte dei casi, alle intenzioni degli autori - nella prospettiva relativa al punto A2: come palestra di scrittura e di analisi della stessa. Certo che scrivere in genere, e a maggior ragione in maniera multimediale, al di là dei risultati raggiunti, può rivelarsi uno strumento di grande efficacia per studiare, riflettere su un argomento specifico (storia, letteratura, matematica, scienze, musica, ambiente, diritti umani ecc.).
Ma questo pur rilevante aspetto, di fatto, va a rafforzare l’idea, oggi dominante, che la scrittura multimediale - ultima nata di una civiltà dove l’immagine e il suono continuano, purtroppo, ad essere ritenuti segnali di facile, quasi naturale, spontanea interpretazione - non abbia uno statuto linguistico e retorico peculiare, difficile. Quasi che la semplificazione tecnica, che permette finalmente di elaborare su un unico supporto codici tradizionalmente affidati a supporti diversi, significasse il trionfo di una visione istintiva, naturale dell’espressione e, viceversa, la morte della competenza, della perizia, dello studio.
E proprio questo è il punto debole, contraddittorio, dell’alfabetizzazione nell’intera comunità internazionale. Ne è specchio eloquente l’uso linguisticamente povero, quasi primitivo, di uno strumento alla portata di tutti come Internet.
4. Tutti autori alla ricca Fiera delle illusioni
Negli insegnanti il riscontro più evidente di questa situazione è il duplice senso, da una parte, di motivato orgoglio per la consapevolezza di essere un’avanguardia d’importanza strategica e, dall’altra, di insoddisfazione per la qualità ‘editoriale’ -sarebbe meglio dire linguistica - dei testi multimediali da loro realizzati.
Negli insegnanti il riscontro più evidente di questa situazione è il duplice senso, da una parte, di motivato orgoglio per la consapevolezza di essere un’avanguardia d’importanza strategica e, dall’altra, di insoddisfazione per la qualità ‘editoriale’ -sarebbe meglio dire linguistica - dei testi multimediali da loro realizzati.
Hanno ragione, perché si sentono costretti a fare un mestiere che non è il loro. Dovrebbero essere gli editori, infatti, ad approntare opere multimediali specifiche per questa o quella materia, avvalendosi e coordinando competenze professionali di tipo didattico, scientifico, multimediale, informatico, editoriale appunto, grafico, musicale, tipografico, commerciale ecc. Nel vuoto generale creato dall’impresa privata, che aspetta secondo una brillante prospettiva imprenditoriale sovvenzioni pubbliche per partire - sotto forma di adozioni scolastiche sicure -, non ha molto senso che gli insegnanti si inventino tutte quelle competenze, magari sulla scia di corsi d’aggiornamento o di acquisti di hard/software presto datati. Anzi può rivelarsi diseducativo e pericoloso; perché questa logica del "fare di necessità virtù", se conferma, ancora una volta, la sensibilità sociale e umana della stragrande maggioranza di chi decide di dedicarsi all’insegnamento, è anche indice del livello di abbandono grave a cui questi lavoratori sono stati relegati, contribuendo a rafforzare, nel caso della multimedialità, l’idea dell’inesistenza di un linguaggio specifico.
Viceversa, oggi è fondamentale spiegare e rispiegare che la multimedialità è un linguaggio, nuovo, importante e assai complesso; che va riconosciuto come tale, insegnato, studiato, capito, governato. Un linguaggio, appunto. Avvertire che l’apparente semplicità dell’interazione, la falsa leggerezza degli infiniti clic del mouse - tecnologico telecomando dell’ultima generazione troppo rapidamente identificato con uno strumento capace, di per sé, di sviluppare il senso critico del computer-spettatore: ogni scatto metallico una decisione, una scelta -, comunicano sempre e comunque un testo (si tratti della guida turistica ad una città d’arte o di un corso di lingua straniera o di un videogioco, on o off line); un testo assai forte che trasmette una precisa visione del mondo, una concezione del vivere sociale, della polis. Se si ignora o si sottovaluta questo fatto, la nostra mente e il nostro cuore risultano indifesi; storditi e schiacciati fra la disarmante semplicità dei clic e la selva oscura di programmi complicati e sempre in continua trasformazione: un know how la cui ragion d’essere, per i più, rischia di essere quella di riprodurre se stesso secondo strategie di marketing ben precise. L’obiettivo deve essere quello di rinnovare le forme di comunicazione e d’espressione, ma ampliando gli spazi di creatività per l’individuo, il suo senso critico, difendendolo dal predominio delle macchine, o meglio degli interessi economici di cui ‘questi’ hardware, ‘questi’ software sono paladini.
5. Alla ricerca dell’autore perduto.
"Questi", si diceva, perché appare indispensabile cercare di cambiare radicalmente atteggiamento davanti all’alfabetizzazione elettronica in corso – sperando così di contribuire ad un altrettanto profondo cambiamento di rotta nell’offerta dello hard/soft-ware - impostazione che va a scapito della prima parte del lungo cammino che porta alla realizzazione di un multimedia: quella dominata dalla ricerca autoriale sui contenuti e sul linguaggio, dove l’individuo è ancora in grado di giocare tutta la propria inventiva senza per questo dover essere esperto del funzionamento dei vari programmi. Gli basta sapere, infatti - e ciò comporta, comunque, un’attenta, specifica preparazione professionale -, quello che questo o quel programma può e non può esprimere.
"Questi", si diceva, perché appare indispensabile cercare di cambiare radicalmente atteggiamento davanti all’alfabetizzazione elettronica in corso – sperando così di contribuire ad un altrettanto profondo cambiamento di rotta nell’offerta dello - impostazione che va a scapito della prima parte del lungo cammino che porta alla realizzazione di un multimedia: quella dominata dalla ricerca autoriale sui contenuti e sul linguaggio, dove l’individuo è ancora in grado di giocare tutta la propria inventiva senza per questo dover essere esperto del funzionamento dei vari programmi. Gli basta sapere, infatti - e ciò comporta, comunque, un’attenta, specifica preparazione professionale -, quello che questo o quel programma può e non può esprimere.
È la parte dominata dall’ideazione del testo, dalla raccolta dei dati, dalla realizzazione di una struttura idonea, dalla definizione della modalità di lettura proposta agli utenti (insomma che tipo di interazione offrire), dalla preparazione dei dati stessi in vista del montaggio vero e proprio del multimedia, la stesura dettagliata, quindi, di quella che comunemente e troppo genericamente viene chiamata ‘sceneggiatura’.
"Scrivere la sceneggiatura" – adottando anche qui questa definizione assolutamente insufficiente e fuorviante - riassume tutte le fondamentali e numerose operazioni che precedono l’uso dei software specifici (tools di authoring, programmi di grafica, di modellazione 3D, editor per video e per audio ecc.): solo dopo che questa scrittura d’autore si sarà conclusa, infatti, si procederà al montaggio - che è a tutti gli effetti un’altra forma di scrittura - per cui saranno necessarie competenze specifiche a livello informatico; un lavoro, quest’ultimo, che, in un grossolano confronto con la produzione di un libro, potrebbero essere paragonate alla ‘scrittura’propria di coloro che lavorano in una casa editrice e in una tipografia.
L’obiettivo fondamentale di questa scelta strategica è quello di ridefinire criticamente la cultura del "fai da te", che sembra aver trovato nel campo dellamultimedialità la sua legittimazione definitiva.
Il fenomeno viene da lontano. Le sue origini più rilevanti affondano nello sviluppo tecnico-industriale di primo Ottocento; ma negli ultimi decenni ha vissuto un’accelerazione inimmaginabile: si pensi, per esempio, alla fotocopiatrice dei primi anni Settanta, oppure alla videocamera dei primi anni Ottanta, alle fotocamere digitali (scatti, osservi sul video, correggi e stampi) della fine degli anni Novanta. L’MPC sembra esaltare questa tendenza offrendo possibilità eccezionali. Per esempio, anche senza pensare a cose troppo complicate, restando sempre nel campo del vecchio, tradizionale libro, consente di fare desktop publishing (DTP): un calcolatore, cioè, e alcuni software particolari (per l’elaborazione testi alfabetici, delle immagini, per l’impaginazione) danno l’illusione a chiunque sappia un po’ digitare di poter diventare editore o tipografo.
Ma avere - si sa - non è essere. Così la possibilità di disporre di più strumentazioni su una sola macchina (MPC) – ripetiamolo - non significa conoscerne l’arte, possederne le relative competenze professionali. Editare, pubblicare, stampare sono linguaggi assai complessi: il rinnovamento e l’ammodernamento dal punto di vista tecnico comporta una ridefinizione delle relative competenze professionali non una loro cancellazione.
Eppure il rischio di sbronze da onnipotenza è grande. Si ricordi Internet, dove mettere giù qualche schermata per un sito Web significa, ormai, ‘pubblicare’. La promozione commerciale del settore va tutta in questa direzione; affermando, per di più, di vedere in questa tendenza i segni di una rinascente libertà, di una potente democrazia, resa forte da una fulgida tecnologia. Computer sempre più potenti, programmi sempre più professionali, comunicazioni sempre più planetarie sono gli elementi di questo teatrino delle illusioni.
Dinanzi al dilagare, quindi, di una mentalità marketing-centrica, ribadire l’importanza della complessità e della varietà, cercare di distinguere, capire e valorizzare i tanti stadi compositivi attraverso cui passa la realizzazione di un testo multimediale, individuandone le relative e specifiche professionalità, è operazione di grande rilevanza sociale, culturale. Perché mentre si torna ad affermare la necessità di tante e differenti competenze, si svuota, è vero, il mito oggi vincente dell’individuo che, reso onnipotente dalla muscolatura delle macchine, può fare tutto da solo, bastando a se stesso; ma questo non significa impoverire l’importanza della presenza individuale. Al contrario, si tratta di difendere e di rilanciare la centralità della persona seppure su un piano opposto, quello dell’orchestrazione delle competenze individuali, riqualificate e arricchite dallo sforzo comune di raggiungere un obiettivo così alto da essere impensabile per le risorse del singolo.
La ricerca della qualità diventa così strategica.
Nel caso specifico della scrittura di un multimedia, restituire priorità alla fase autoriale, a tutti i livelli, dall’autore – l’esperto della materia, una volta si considerava il vero, il solo autore - al direttore editoriale, al tipografo (termini tradizionali che si cerca qui di adattare ad un quadro totalmente diverso), vuol dire puntare sulla qualità. E ricordando bene che le parti editoriale e tipografica misurano la propria efficacia, il proprio valore non in astratto, secondo parametri autonomi, ma soltanto in riferimento ad un preciso testo d’autore a cui si rapportano, in un comune sforzo di comunicazione e di espressione.
Eppure, se si va ad osservare il valore dato fino ad oggi al tipo di risorse e di investimenti, la situazione potrebbe essere raffigurata come una piramide particolare, perché capovolta. In basso, la base d’appoggio è minima, giacché minime sono le risorse investite nel lavoro dell’autore; in alto, minaccioso, paurosamente oscillante nel vuoto, un vertice immenso, costoso, impegnativo, raffigurante il lavoro informatico, considerato zona franca da tutto il resto, autosufficiente:
La conseguenza è che la maggior parte dei multimedia oggi in commercio (leggi CD-ROM e siti Web; altro il discorso per i videogiochi) sono di scarsa utilità, trattandosi perlopiù di trasposizioni su supporto digitale di libri o, in genere, di testi cartacei. Né questa logica, per ora almeno, sembra essere messa in crisi dall’avvento del DVD, potentissimo supporto capace di contenere interi film. L’unica differenza degna di nota pare la sostituzione della retorica cartacea con quella audiovisiva. Il linguaggio multimediale continua ad essere il grande assente.
6. Bastasse archiviare, memorizzare….
In questa situazione non è certo un caso che i migliori prodotti editoriali, i testi più efficaci, siano quelli che mantenendo una logica cartacea, restando dentro i solchi tradizionali e sicuri di generi esistenti, ne valorizzano la funzionalità: le enciclopedie, i dizionari, i repertori, opere di consultazione. Oppure le banche dati. Bisogna ammetterlo, se si vuole andare oltre l’esistente: la multimedialità, nella maggior parte dei casi, non ha fatto altro che potenziare, a volte in maniera stupefacente, forme di ‘scrittura’, di ‘lettura’, di memoria preesistenti. Il che le ha permesso certamente di contenere i costi, ma così non è riuscita a ideare qualche cosa di veramente nuovo. Insomma a dare vita ad un linguaggio inedito che avesse i suoi generi, i suoi stili.
In questa situazione non è certo un caso che i migliori prodotti editoriali, i testi più efficaci, siano quelli che mantenendo una logica cartacea, restando dentro i solchi tradizionali e sicuri di generi esistenti, ne valorizzano la funzionalità: le enciclopedie, i dizionari, i repertori, opere di consultazione. Oppure le banche dati. Bisogna ammetterlo, se si vuole andare oltre l’esistente: la multimedialità, nella maggior parte dei casi, non ha fatto altro che potenziare, a volte in maniera stupefacente, forme di ‘scrittura’, di ‘lettura’, di memoria preesistenti. Il che le ha permesso certamente di contenere i costi, ma così non è riuscita a ideare qualche cosa di veramente nuovo. Insomma a dare vita ad un linguaggio inedito che avesse i suoi generi, i suoi stili.
Ma per fare questo è necessario abbandonare la retorica della frammentazione, la ricerca esasperata della modularità, dominante nella cultura di oggi.
Il testo multimediale, cioè, esprime e comunica tramite l’interazione di più codici (di natura visiva o/e sonora) i quali danno vita ad unità minime di significato (per semplificare la schermata, intendendo per quest’ultima tutto ciò che l’autore vuole che il lettore percepisca fra un clic e l’altro). La sintassi dell’interazione fra questi codici, nella maggior parte dei casi, viene interpretata, a livello di scrittura e quindi di lettura, in maniera modulare: nel senso che il legame è tale da realizzazione informatica elaborazione d’autore decontestualizzare ognuno di essi dagli altri, per cui il testo alfabetico, l’immagine, il testo sonoro o quant’altro vengono proposti e interpretati individualmente, come parti sì correlate ma separate, non unità di significato cementate fra loro al punto da dare vita ad un’unità di significato superiore. Per cui la suddetta schermata si configura come un contenitore di significati che la mente del lettore deve sforzarsi di amalgamare.
Il quale lettore, quindi, recepisce gli stimoli visivi e sonori destrutturati, non un testo unitario, sincretico, risultato di una sintesi espressiva fra le sue varie componenti. Domina una funzione appositiva. Di fatto, sia che ci si trovi davanti un’enciclopedia, un corso di lingua straniera, un atlante autostradale, una guida alla cucina italiana, agli Uffizi, all’ascolto della 5a sinfonia di Ludwig van Beethoven, all’oroscopo, alle pagine gialle di Internet, al Windsurf, alla Mafia, ai Codici civile, penale, al medico in casa, a van Gogh, a Parigi, al Cinquecento italiano, a Balzac, a Verga, a Pirandello, al cielo stellato, a come vincere al Lotto ecc., l’impianto testuale è lo stesso, un genere più o meno identico, per tabelle correlate fra loro, sempre estranee ad una sintassi amalgamante. Per questo la parola più giusta per definire questo tipo di pubblicazioni sembra essere "data base", con record e campi associati: l’obiettivo restando quello di mettere l’utente in condizione di accedere alle informazioni che cerca.
La situazione non migliora molto se si affronta l’area dell’archiviazione. Sì perché proprio in quanto tutto sembra andare in quella direzione, si finisce con il perdere di vista un elemento importantissimo che è la specificità ‘testuale’ propria di questo genere; aspetto di cui si dovrebbe tenere conto quanto più si cerca di creare uno strumento di lavoro efficiente. Viceversa, proprio perché il genere, come sottolineato, domina ovunque, è onnipresente – arrivando addirittura a identificarlo con il supporto digitale, con il linguaggio multimediale - si rischia di sottovalutarne la specificità proprio là dove, viceversa, dovrebbe essere valorizzata. L’efficacia di una raccolta di dati, infatti, non sta nell’offerta di dati metafisicamente puri, bensì nella capacità di scelte critiche che, mentre propongono un’interpretazione comunque inevitabile, ne dichiarano lucidamente e inequivocabilmente i criteri ispiratori.
Le fotografie che qui si pubblicano in appendice, relative alla vita pubblica a Firenze durante il periodo fascista, provengono dall’Archivio fotografico Locchi di questa città. Si tratta, come sanno gli esperti, di un’eccezionale raccolta di documenti che solo da pochi mesi i proprietari hanno deciso di mettere a disposizione dei ricercatori: già notissimi, comunque, i documenti sulla visita in Italia di Hitler, così come celebri i servizi sul Giro d’Italia, sulle Mille Miglia, sul passaggio della seconda guerra, sull’alluvione. Si tratta di oltre tre milioni di fotogrammi provenienti da uno studio fotografico che dal 1934 fu impegnato, secondo una scelta lungimirante, a realizzare una ricca banca dati sulla vita quotidiana a Firenze e nella Provincia.
La bellezza e la quantità dei dati che ogni fotogramma di questa raccolta racchiude in sé è oggetto di una ricerca che i proprietari e il Gruppo Cecchi Gori – coinvolto nel progetto di valorizzazione di questo patrimonio - ha affidato a chi scrive. La scommessa è di poter usare la multimedialità come strumento rigoroso di archiviazione e al tempo stesso di ‘spettacolarizzazione’ di questo giacimento culturale, nella convinzione che dati e racconto dei dati siano due aspetti inscindibili della buona filologia.
Bargino (Firenze), 18 gennaio 1999
Luca Toschi
1) Queste note riprendono spunti già trattati in miei precedenti contributi, a cui rinvio per eventuali approfondimenti:
L. T., L’ipertesto d’autore, Venezia, Marsilio, 1996 (con CD-ROM);
L. T., Una, cento, mille multimedialità. Per una definizione, in Letteratura e mercato: la scoperta dell’immagine. Verga, a cura di L. T., Venezia, Marsilio, 1998 (con CDROM);
Autori vari, Effetti di un sogno interrotto. Pirandello e un film da fare, a cura di L. T., Venezia, Marsilio, 1998 (CD-ROM); L. T., Retorica del linguaggio multimediale, in Arte della persuasione e processo, a cura di A. Traversi, Milano, Giuffrè, 1998;Cinque parole per la pace, a cura di L. T., San Domenico di Fiesole,
, a cura di L. T., San Domenico di Fiesole,
ECP, 1998. Per altre informazioni: toschi@cesit1.unifi.it.