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Memoria e Ricerca

La rete e la catena. Mestiere di storico al tempo di Internet

di Peppino Ortoleva
in Memoria e Ricerca n.s. 3 (1999), p. 31


1.La dinamica del cambiamento: un breve premessa di metodo.
Che cosa cambia nelle pratiche e nelle regole del lavoro di storico con lo sviluppo, non solo della tecnologia informatica e telematica ma anche della comunicazione digitale, degli usi quotidiani di queste tecniche all'interno e all'esterno della comunità scientifica? Il quesito a questo punto non è certo nuovo come poteva esserlo alcuni anni fa; eppure, non si può dire che si siano ancora raggiunte risposte certe, o punti fermi. Al contrario: si nota nelle opinioni diffuse sul tema un'oscillazione ormai ricorrente: si alternano con un ritmo sempre più forsennato, da un lato la tendenza a pensare che "con la rete cambia tutto" (con relative previsioni sulla comunità scientifica "in tempo reale" e sulla paperless society che porterebbe con sé la fine delle riviste accademiche, la fine delle biblioteche(1) e in prospettiva anche degli archivi come luoghi fisici), dall'altro quella che porta, una volta verificato che tante cose continuano più o meno come prima, a sostenere che una rivoluzione telematica nel lavoro intellettuale non c'è stata e non ci sarà mai, che al più ci saranno dei nuovi strumenti per un mestiere che, tutto sommato, va bene com'era.
Quest'altalena di opinioni non ha in sé nulla di sorprendente (il che non deve però farne dimenticare le conseguenze pratiche, i grandi investimenti avviati con attese miracolistiche e poi abbandonati per impazienza o delusione, le carriere costruite o distrutte da aspettative mal formulate): tutta la recente pubblicistica sui "nuovi media" è attraversata da un'oscillazione analoga(2) tra previsioni "rivoluzionarie" e delusioni che portano a volte all'abbandono improvviso di interi filoni tecnologici anche promettenti.
In realtà, non è un caso che questi atteggiamenti apparentemente opposti, l'attesa di cambiamenti epocali e lo scetticismo, siano in realtà complementari e si alternino negli stessi gruppi e anche negli stessi individui. Nascono infatti da una premessa paradossalmente comune, una rappresentazione lineare del cambiamento tecnologico e delle sue "conseguenze" sociali e culturali: in sostanza, l'idea è che ogni innovazione sia chiamata a produrre un cambiamento preciso e in qualche modo inscritto nell'innovazione stessa. Se questo non si verifica, qualcosa non ha funzionato.
Ora, la migliore sociologia e storiografia della scienza e della tecnica hanno da tempo avviato una riflessione critica su questo modo di vedere(3), proponendo al contrario una lettura del cambiamento sociale come contesto, motore e insieme prodotto del cambiamento tecnologico. Seguendo questo percorso, è possibile rendersi che i cambiamenti più rilevanti che si producono nella cultura in connessione con un'innovazione tecnica si verificano in aree differenti da quelle inizialmente immaginate, spesso in conseguenza di processi complessi e non prevedibili nella fase iniziale dell'innovazione stessa: sono frutto di "negoziati", ma anche di adattamenti, di interpretazioni e fraintendimenti, che come sottolinea soprattutto Bijker possono essere letti solo tenendo conto della varietà di "gruppi sociali rilevanti" interessati al cambiamento stesso(4), e, aggiungeremo, delle diverse culture professionali che vengono messe in gioco. Sono questi processi a indicare i modi effettivi in cui un cambiamento tecnico verrà tradotto, per usare un termine caro a B. Latour(5) in fatto culturale(e viceversa): modi che spesso potranno apparire marginali dal punto di vista delle previsioni iniziali, ma che possono essere di portata profondissima(6).
Capire che cosa cambia nel lavoro intellettuale in corrispondenza di un determinato cambiamento tecnico e comunicativo vorrà dire allora ragionare sui diversi "gruppi sociali rilevanti" che all'interno delle professioni culturali sono interessati al cambiamento stesso, e sul modo in cui ciascuno di essi formula, interpreta difende il proprio punto di vista: nel nostro specifico i diversi gruppi che in diverse posizioni e con punti di vista diversi e complementari contribuiscono alla formazione e alla circolazione del sapere storico(7). E' infatti evidente che un radicale cambiamento delle forme di comunicazione produce processi di cambiamento(magari inizialmente inosservati, ma non per questo meno rilevanti: al contrario) sia nelle relazioni interne alla comunità scientifica sia nella complessa catena di relazioni tra studiosi, docenti dei vari ordini di scuola, produttori della cultura di massa, lettori comuni, che condiziona il sapere storico assai più di quanto gli studiosi siano generalmente propensi a concedere.
Troppo spesso, invece, le riflessioni su questi temi ignorano la storicità del mestiere stesso di cui si parla, adagiandosi o sulla pura descrizione semi autobiografica delle esperienze fatte o su dichiarazioni di metodo in sé giuste ma poco attente al mutare del mondo reale.

2. Alcuni temi in discussione
Questo breve intervento non ha alcuna pretesa di rispondere alle domande che ho appena sollevato. Un'analisi del lavoro degli storici e della sua circolazione in termini di sistema e di "gruppi sociali rilevanti" richiederebbe, tra l'altro, sondaggi archivistici e sul campo che sono ancora tutti da fare. Più modestamente, intendo mettere a fuoco alcuni interrogativi, facendo séguito, a distanza di qualche anno, a un altro lavoro(8) dedicato a una problematica analoga. Allora avevo indicato soprattutto due problemi:
- il cambiamento (graduale e tutt'altro che incontrastato, ma reale) dei rapporti all'interno della comunità scientifica conseguito prima allo sviluppo dei mass media, poi alla nascita di quei media telematici che costituiscono la novità della fase; sostenevo allora che con la rete si stessero modificando in profondità le gerarchie interne alla comunità, che i tempi assai più rapidi di circolazione del sapere anche nella forma di contributi "prima della stampa" stessero definendo processi nuovi di valutazione e valorizzazione dei risultati della ricerca, e infine (e soprattutto) che si stesse verificando un fatto nuovo e sorprendente, per cui per la prima volta l'idea di un uditorio competente di esperti su cui si basano dal Seicento in poi le regole della comunicazione scientifica(9) sembra potere trovare corrispondenza nella realtà concreta
- le implicazioni che un nuovo modo non solo di comunicare, ma di pensare i messaggi complessi, quello ipertestuale10 ha per il sapere storico, strutturato nella tradizione occidentale informa di testo, e che già era stato profondamente condizionato negli ultimi decenni dall'emergere dei media "di flusso", in particolare della televisione.
Da allora, si sono verificati diversi cambiamenti ulteriori che inducono a ripensare questi temi e ad aggiungere altri quesiti alla riflessione.
In primo luogo, Internet è diventata davvero un mezzo di comunicazione diffuso e frequentato (non uso il termine "di massa" per non addentrarmi nel connesso ginepraio di discussioni), cosa che ha permesso di sottoporre ad analisi critica, alla luce delle prassi che si sono effettivamente formate, alcune delle ipotesi originarie sul suo sviluppo e sui linguaggi e le convenzioni comunicative che la caratterizzano.
In secondo luogo, Internet è diventata terreno di confronto non più solo all'interno della comunità scientifica ma tra diversi dei "gruppi sociali rilevanti" del sapere storico, inclusa la scuola: in altri termini, la rete non è solo oggetto di negoziati tra i diversi gruppi, ma sta diventando sempre più il luogo di questo negoziato, in particolare tra newsgroup, siti di servizio eccetera. Questo dovrebbe indurci a riflettere sui cambiamenti connessi al suo sviluppo in termini più sistemici di quanto si potesse fare qualche anno fa, quando l'uso della rete e dell'ipertesto erano ancora fenomeni élitari.
In terzo luogo, diversi studiosi (incluso chi scrive)hanno potuto fare esperienza concreta di ipertesti multimediali sia online sia off line, cosa che ha portato a verificare meglio alcune delle idee sulla "scrittura ipertestuale della storia"11 e a notare alcuni problemi in precedenza meno avvertiti, primo tra i quali le implicazioni metodologiche e teoriche dei diversi e apparentemente equivalenti software scelti per realizzare gli ipertesti stessi.
Infine, è ormai evidente che i cambiamenti in corso oggi, in connessione con lo sviluppo delle tecnologie telematiche, riguardano non solo e non tanto le singole professioni culturali, ma l'organizzazione stessa della produzione intellettuale.

3. Il lavoro culturale al tempo della rete
Cominciamo da quest'ultimo punto. Tradizionalmente, l'organizzazione del lavoro intellettuale, soprattutto (ma non solo) in campo accademico, è basata su alcune distinzioni nette, di ruoli e di istituzioni.
In particolare, a) la distinzione rigida tra gli "strumenti" tecnici, da sempre ritenuti utili ma sostanzialmente neutri rispetto ai contenuti, e i contenuti stessi, il cui elemento di verità si suppone indipendente dalla forma fisica in cui è esposto; b) la distinzione rigida tra la ricerca e il servizio alla ricerca stessa, che fonda anche la differenza di ruoli tra lo studioso da una parte e l'archivista o il bibliotecario dall'altra; c) la distinzione rigida tra i due "stati" del testo, l'edito e l'inedito, che rimanda, pur non identificandosi, a quella tra copia e originale, ma anche a quella tra fonti secondarie e fonti primarie, tra biblioteca e archivio, eccetera. E' oggi evidente(12) che tutte e tre queste distinzioni sono strettamente legate a un modello tecnico - culturale, quello della stampa, e sono destinate quanto meno a essere parzialmente modificate con lo sviluppo di altri modelli, o "forme culturali" per riprendere la preziosa precisazione terminologica di Raymond Williams.
La distinzione rigida tra lo strumento e i contenuti, già messa in discussione con argomenti apparentemente astrusi ma di grande portata teorica da H.A. Innis e M. McLuhan, appare del tutto indifendibile oggi. E' emerso infatti un autentico tertium tra il contenuto informativo e il mezzo tecnico, il software: un prodotto intellettuale che guida gli strumenti e viceversa un fatto tecnologico che simula, cioè imita, modelli di pensiero e non solo di azione. Nel momento in cui la macchina(di scrittura, di ricerca, di stampa, di scambio: in una parola il computer) è guidata non da una serie di vincoli materiali ma da un programma, li strumenti ai quali l'intellettuale si affida per il suo mestiere a questo punto non sono più neppure concepibili come neutri. La scelta, ad esempio, di scrivere l'ipertesto con un certo software implica che l'esposizione di un tema sia pensata in forma di libro (se si usa Toolbook), sia pure sofisticato e arricchito, o in forma di programma televisivo(se si usa Director), o ancora in forma di banca dati integrata da percorsi interni precostituiti (se si usa l'html). E' come se la scelta di un genere comunicativo o dell'altro venisse oggettivata in un fatto tecnico, ma al tempo stesso assumesse, della tecnica, tutta la cogenza e l'apparente "naturalità". Problemi analoghi si pongono (per restare in ambito storico) per i software di informatizzazione degli archivi, che condizionano la ricerca, anzi in qualche misura "fanno" la ricerca assai più di quanto accadesse con gli strumenti pre informatici, essi pure per altro assai più influenti e condizionanti di quanto generalmente si amasse pensare.
Questo ci porta alla seconda distinzione. In un'epoca in cui la biblioteca diventa editore di siti (oltre che distributore di fotocopie); in cui l'archivio "pubblica" attraverso la digitalizzazione i propri materiali; in cui, d'altra parte, la presentazione al pubblico di un certo patrimonio di conoscenze, dal fondo archivistico alla raccolta di quadri, tende a passare più spesso per la pubblicazione su CD o l'immissione in rete di una banca dati invece che per la pubblicazione di un lavoro monografico, la produzione di un servizio e la produzione di un prodotto compiuto di tipo culturale appaiono, non diciamo indistinguibili e neppure equivalenti, ma parti di un unico continuum. Il che del resto ci fa prendere coscienza di quanto la distinzione sia stata sempre almeno in parte ideologica: gli archivisti hanno sempre condizionato la storiografia, i bibliotecari sono sempre stati un anello della stessa catena di produzione e circolazione del sapere che comincia dagli autori e finisce ai lettori. Ma l'immagine di sé delle rispettive professioni e istituzioni era basata in fondo sul negare questi dati di fatto, e sul sostenere identità rigidamente differenziate.
Anche la caduta della barriera tra edito e inedito è tutt'altro che priva di conseguenze, non ultimo per le valutazioni di qualità scientifica degli studiosi, ma anche perché la distinzione connessa tra originale e copia è fondante per tutta la catena di produzione intellettuale.
Il fatto è che lo stesso parlare di una "catena di produzione" è, se ci pensiamo bene, quanto meno problematico rispetto alla tradizionale rappresentazione del lavoro intellettuale, che vede la nascita delle idee come evento imprevedibile e non programmato, e soprattutto autonomo. Negli ultimi anni la sociologia della scienza(13) ha evidenziato il carattere sociale del lavoro di ricerca nelle discipline naturalistiche; ma per le scienze umane e la storia l'immagine nettamente prevalente resta l'altra.
Con lo sviluppo della rete e dell'informatica applicata alle scienze umane questa rappresentazione si svela pienamente nelle sue implicazioni ideologiche. Quello che circola nelle reti sono in realtà essenzialmente dei "semilavorati" culturali, già ricchi di contenuti almeno in parte originali ma destinati a essere ulteriormente arricchiti. In quest'ottica, il momento della pubblicazione non è un approdo definitivo, ma la fissazione temporanea di un risultato destinato comunque a essere non solo migliorato ulteriormente (questo l'idea occidentale di ricerca l'ha sempre accettato e voluto) ma rimesso in circolo, in qualche misura riscritto, anche da altri.
Le conseguenze di questo cambiamento, o se si vuole di questa presa di coscienza, sono di ampia portata:
- un'accelerata socializzazione del lavoro intellettuale, che consente di pensare in termini nuovi la progettazione di opere collettive;
- la crisi dell'idea individuale di autorialità, su cui si fonda, ricordiamolo, tutto il sistema culturale in cui viviamo, dalle regole economico - giuridiche del copyright agli strumenti di valutazione accademica;
- la possibilità di conciliare come mai in passato la ricerca e la forma – impresa anche nel campo delle scienze umane.
E' bene però prestare attenzione critica
ad almeno due osservazioni. Prima di tutto, ciascuno di questi processi è legato allo sviluppo della rete non in modo lineare ma biunivoco: lo sviluppo di Internet non è in sé la causa della crisi di distinzioni in precedenza rigide, si può sostenere al contrario che sia stato anche e soprattutto conseguenza della crescente insofferenza della comunità scientifica reale per i modelli istituzionali che si sentiva imporre; d'altra parte, una volta che Internet si è imposta come strumento essenziale della comunicazione scientifica questa insofferenza ha dato luogo a sue nuove regole di comunicazione che, anche grazie alla mediazione della tecnica, si presentano oggi come ineludibili e "naturali".
In secondo luogo, i processi in corso mettono in gioco nel mondo del sapere gruppi diversi e interessi (eh s“, si tratta anche di interessi, economici e di potere) differenziati e spesso contrapposti.
Docenti, imprese, archivisti, bibliotecari, usano la rete anche per evidenziare le proprie posizioni di potere, per conquistare nuovi spazi e nuova visibilità, per proporre la propria specifica visione del mestiere. All'interno di ciascun gruppo professionale, altri conflitti dividono (e vengono mediati, fra l'altro, anche per mezzo della rete) non solo le generazioni ma anche i gruppi più inclini a dialogare con i tecnologi e gli altri, i gruppi che interpretano rigidamente il proprio statuto professionale e gli altri.

4. Comunicare la storia
Vediamo ora alcuni processi che toccano più da vicino il sapere propriamente storico, e che sono verificabili nell'esperienza quotidiana di utilizzo di Internet.

4. 1. Globalità e specializzazione
Un primo fenomeno colpisce chi si muove in rete. E' la straordinaria specializzazione (o meglio, per usare un termine del gergo della sociologia dei media, segmentazione) della conoscenza offerta. Non esistono solo decine di migliaia di siti scientifici; si può dire che ogni oggetto di studi ha i propri siti. Prima, per fare un esempio, esisteva una sola newsletter negli USA dedicata esclusivamente agli studi sulla storia dell'aviazione; oggi i siti dedicati al tema sono decine, e in crescita. D'altra parte, questi siti usano regolarmente o quasi la lingua inglese, e si rivolgono esplicitamente a un'audience internazionale.
La globalizzazione, che indubbiamente esiste anche se la parola può apparire ormai corrosa, si accompagna così con un fenomeno convergente anche se può sembrare opposto, l'estrema suddivisione delle aree tematiche. Questo a sua volta si collega con alcuni altri processi forse non di breve periodo
a) la tendenza a mettere al centro della ricerca e della sua organizzazione non le discipline ma gli oggetti, anzi a fondere i due livelli: il processo era in corso da tempo nelle scienze umane, ma gli sviluppi della comunicazione scientifica lo stanno accelerando;
b) la scomparsa di molti dei classici "filtri" istituzionali, che porta con sé tra l'altro un problema generale e assai serio di controllo di qualità delle informazioni(14); in realtà, i siti specializzati si presentano sempre più spesso, non come puri fornitori di informazione, ma come occasioni di scambio. Nel precedente lavoro che ho richiamato sopra15 sottolineavo quanto questo cambiamento favorisse la concreta realizzazione di alcuni dei miti fondanti dell'idea di comunità scientifica. Ora, dopo anni di esperienza, devo notare anche un risvolto diverso;
c) la tendenza, in particolare in campo storico, alla sovrapposizione tra la logica della ricerca e quella del collezionismo puro e semplice. Favorito dal clima "di club" di molti siti, questo processo si allinea con alcune tendenze profonde della cultura storica diffusa di questi anni: in particolare quella a schiacciare l'idea di storia su quella, assai ben distinta per secoli, di memoria(16).

4.2. Il testo instabile
Del resto, la comunicazione sul web è sottoposta a regole assai diverse da quelle tipiche dell'età della stampa e che tanto avevano condizionato il lavoro dello storico. Per citare la più significativa, la stampa ha favorito l'imporsi di un'idea di testo sostanzialmente immutabile; sulla rete, al contrario, uno dei criteri con cui si giudica la qualità di un sito(17) è il suo aggiornamento, il fatto cioè che venga continuamente modificato.
Questo ha conseguenze solo apparentemente marginali nella comunicazione scientifica: ad esempio, il fatto che le cosiddette "sitografie" poste in appendice alle ricerche o alle tesi di laurea sono spesso impossibili da verificare, in quanto (è ormai esperienza comune) molti degli indirizzi si rivelano alla consultazione non più attivi, o comunque irriconoscibili.
Ma a parte questo aspetto, l'instabilità dei testi rende il confronto tra le diverse ricerche più difficile e incerto che in passato.

4.3. La logica della banca dati
Il basso costo dell'accesso alla rete, che è apparso per un certo periodo una garanzia di libertà, si presenta ora nei suoi risvolti meno esaltanti. Lasciando stare il problema già ricordato della qualità, è la pura e semplice quantità che rende difficile l'orientamento.
Il ricercatore si muove in rete buona parte del tempo guidato dai motori di ricerca (sui quali torneremo tra un momento), che sono spesso i soli strumenti utilizzabili per il reperimento dei dati, per accorgersi poi che questo accresce la vastità e la confusione dell'informazione raccolta. Tutto è organizzato nella logica della banca dati a parole chiave, una logica che è in corso di perfezionamento ma resta assai grezza. Si finisce così con l'oscillare tra due modalità di comportamento opposte ma in realtà complementari: da un lato il vagabondaggio (la metafora della "navigazione" ha stancato un po' tutti)dall'altro la selezione di siti consultati regolarmente, i cosiddetti bookmark, per chi usa Netscape, o favorite per chi usa Explorer. Una selezione basata spesso su criteri qualitativi non di contenuto, dalla qualità grafica al buon funzionamento di alcune operatività.
Una conseguenza, anch'essa paradossale, dei processi descritti nel loro insieme è la riduzione delle occasioni di reale confronto tra posizioni differenti e strutturate, sostituite da uno scambio continuo ma spesso scarsamente impegnativo, e anch'esso oscillante fra due estremi opposti: il parlare solo coi propri simili, quelli che già in partenza condividono interessi e saperi; e il parlare solo con perfetti sconosciuti, un'esperienza a volte suggestiva, ma che difficilmente produce un sapere cumulativo.

5. Qualche conclusione
Forse quanto ho scritto finora può sembrare una critica radicale delle potenzialità conoscitive e comunicative delle reti telematiche e del World Wide Web in particolare.
In realtà, è un invito operativo. Gli storici e ingenerale gli studiosi di scienze umane debbono dotarsi di strumenti nuovi al fine:
- di contribuire con le loro specifiche competenze all'elaborazione degli strumenti di conoscenza e di ricerca in rete (a cominciare dai "motori") troppo spesso lasciati a scelte puramente tecniche;
- di cimentarsi davvero con le possibilità, a mio vedere, straordinarie, offerte dall' ipertestualità al sapere.
Questo non richiede, come qualche entusiasta ripeteva anni fa, che gli storici debbano diventare in massa esperti informatici. Richiede da un lato l'appropriazione di alcuni linguaggi, in particolare tecniche ipertestuali, dall'altro e soprattutto l'imparare a riconoscere i processi di socializzazione del lavoro intellettuale che l'innovazione tecnologica in parte ha imposto in parte ha semplicemente svelato.
La produzione di sapere sarà sempre più spesso affidata a collettivi misti, nei quali ciò che conterà di più sarà la capacità di tradurre i diversi linguaggi specialistici in sapere condiviso. Purché sia chiaro (e uno storico dovrebbe saperlo meglio di altri) che il processo di formazione di simili collettivi sarà tutt'altro che lineare e tutt'altro che indolore.

Note:
1 Una buona sintesi storica del dibattito soprattutto americano sul destino della biblioteca nell'epoca digitale si trova in M. Stefik, Internet Dreams. Archetipi, miti, metafore, Telecom Italia-Utet Libreria, Torino, 1998.
2 Sul tema rinvio a P. Ortoleva, La rete, la tecnica, il potere, in Una tecnologia per il XXI secolo, a cura di P. Borgna e P. Ceri.
3 La bibliografia in materia è davvero ormai sterminata. Un riferimento ormai d'obbligo è T. Hughes, Networks of Power, Johns HopkinsUniversity Press, Baltimore, 1983. Alcuni importanti punti fermi sul tema si trovano ora in italiano in Oggetti di uso quotidiano, a cura di M. Nacci, Marsilio, Venezia, 1998, in particolare nei contributi di B. Latour, W. Bijker, T. Maldonado. Sugli aspetti propriamente culturali dell'innovazione tecnologica in particolare nella comunicazione un altro riferimento essenziale è R. Williams, Televisione. Tecnologia e forma culturale, De Donato,Bari, 1982.
4 Si veda W. Bijker, On Bycicles, Bulbs and Bakelite,; oltre il saggio dello stesso Bijker
5 B. Latour, Non siamo mai stati moderni, Eleuthera, Milano, 1996.
6 Per restare alletecnologie di comunicazione, questa è la linea interpretativa seguita da E. Eisenstein nel suo La rivoluzione inavvertita, Il Mulino, Bologna, 1987, sulle trasformazioni legate alla nascita della stampa.
7 Altrove (P. Ortoleva, Storia e mass media, in L'uso pubblico della storia, a cura di N. Gallerano, Angeli, Milano,1995)ho provato a tracciare una mappa ancora puramente modellistica di questi soggetti e di alcuni momenti di scambio tra loro.
8 P. Ortoleva, Presi nella rete? Circolazione del sapere storicoe tecnologie informatiche, in Gli storici e il computer cura di S.Soldani e L. Tomassini, Bruno Mondadori, Milano, 1996
9 Si veda in particolare S. Shapin, A Social History of Truth,
10 La letteraturasul tema si è nel frattempo molto arricchita: mi sia permesso di rinviare alla nuova edizione (o release) del noto libro di G. Landow, L'ipertesto, B. Mondadori, Milano, 1998; e al sito curato dallo stesso Landow presso la Brown University: http//:www.
11 L'espressione riprende quella ("scrittura filmica della storia") coniata da M. Ferro nei tardi anni Settanta: cfr. M. Ferro, Cinema e storia, Feltrinelli, Milano, 1981.
12 Le prime interpretazioni critiche di questo processo sono state messe a punto, oltre che dalla scuola canadese di Innis e McLuhan, dalla scuola istituzionalistica, il cui massimo rappresentante in quest'area di studi è stato I.de Sola Pool: cfr. Tecnologie di libertà, Telecom Italia-Utet Libreria, Torino, 1995.
13 Particolarmente influente in questo campo l'opera del già richiamato B. Latour: si veda ad esempio La vie du laboratoire, La découverte, Paris, 19.
14 In un campo diverso da quello strettamente scientifico, l'informazione di attualità, è stato notato da molte parti come Internet sia diventato un potentissimo strumento di diffusione di voci incontrollate. Il ricercatore che si affidi alla rete per la raccolta dei suoi dati, come spesso viene invitato a fare, corre rischi che in genere il sistema della pubblicistica accademica "classica" permetteva di tenere sotto controllo.
15 Cfr. Presinella rete?, cit.
16 La bibliografia su questo tema è ormai imponente: mi limito a richiamare le opere di Yerushalmi, la voce Memoria dell'Enciclopedia Einaudi di Jacques Le Goff, i lavoriitaliani di P. Jedlowski.
17 Ringrazio l'amico e collaboratore Andrea Fava per avere attirato lamia attenzione su questo fenomeno.