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Memoria e Ricerca

Sopravviverà la storia all’ipertesto?

di Antonino Criscione
in Memoria e Ricerca n.s. 12 (2003), p. 165


Internet e l'uso pubblico della storia

 

Lo studio delle comunicazioni di massa ha evidenziato come l’avvento di un nuovo medium determini, per effetto della sua stessa comparsa e al di là dei contenuti da esso veicolati, importanti modificazioni nei comportamenti sociali e, in particolar modo, nel rapporto con il passato, nell’indagine e nella riflessione critica su di esso, nelle modalità di formazione e trasmissione della memoria. In che modo, con quali ritmi e caratteristiche tutto questo sta accadendo a seguito dell’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione?

 

Un primo dato balza agli occhi: accanto ai siti di argomento storico prodotti da Università, scuole, Istituzioni culturali o Associazioni formalmente costituite, è possibile riscontrare un notevole numero di siti prodotti da singoli o gruppi di persone che condividono un interesse per determinati argomenti storici. La crescita di siti Web dedicati alla storia è stata continua e rapida nel corso degli ultimi anni. Internet mette a disposizione di tutti una grande quantità di risorse storiche: questa forma di "democratizzazione" del sapere, e del sapere storico nella fattispecie, è stata paragonata alla rivoluzione prodotta dall'invenzione della stampa o, per restare a tempi più vicini a noi, alla invenzione e alla diffusione del libro tascabile. La proliferazione dei siti Web dedicati alla storia determina in realtà non soltanto un ampliamento dell'accesso a documenti e informazioni altrimenti non disponibili, ma anche le condizioni perché chiunque possa, avendo la strumentazione e le competenze tecniche necessarie, immettere sulla Rete materiali organizzati e confezionati secondo la propria idea di storia. Quali effetti tutto questo può avere sulle modalità con le quali il rapporto tra passato e presente viene esperito e comunicato?

 

In Internet, e in modo particolare nel WWW, sta emergendo una nuova sfera pubblica globale, nella quale i siti Web dei quali ci stiamo occupando rappresentano una modalità nuova e tutta da indagare di "uso pubblico della storia", inteso come "tutto ciò che si svolge fuori dai luoghi deputati della ricerca scientifica in senso stretto, della storia degli storici, che è invece scritta di norma per gli addetti ai lavori e un segmento molto ristretto di pubblico" (1). L'"uso pubblico della storia" può essere varie cose: terreno di confronto tra gli storici su temi rilevanti, che implica il coinvolgimento dei cittadini; manipolazione delle conoscenze che stabilisce analogie fuorvianti e ostacola la lettura critica del passato; modalità di discorso e di comunicazione attraverso la quale le ferite della memoria si rivelano e vengono alla luce. Il ventesimo secolo ci ha mostrato come in alcuni momenti si sia imposta la necessità di fare i conti con il passato storico in modo nuovo e drammatico e come nello stesso tempo la comparsa di nuovi mezzi di comunicazione di massa abbia costruito contesti comunicativi nei quali queste esigenze hanno trovato diffusione e cercato risposte. È già avvenuto negli anni successivi alla prima guerra mondiale; con forme e contenuti diversi sta accadendo a partire dall'ultimo decennio del '900 (2). Il cyberspazio è già oggi una nuova frontiera nei territori della comunicazione avente per oggetto la storia: in esso si stanno ridisegnando le relazioni tra storici, studiosi di storia, opinione pubblica.

 

Si possono considerare tre forme del rapporto tra storia e Internet(3) :

 

a) storia di Internet: si tratta di un capitolo importante della storia delle tecnologie. Ė inevitabile tematizzare la storia del computer e della rete telematica se si vuole capire qualcosa della storia della seconda metą del XX secolo come anche della storia del presente (4).

 

b) storia su Internet: in questo ambito consideriamo Internet e, in modo particolare, il Web come un macrosupporto che veicola fonti, testi storiografici, bibliografie, etc. Qualcosa di simile ad una grande Biblioteca o, per meglio dire, ad un grande Archivio. La metafora della Biblioteca, la più facile ed immediata, può infatti essere fuorviante se si considera il fatto che i materiali di qualsiasi argomento, e quindi anche quelli di argomento storico, presenti su Internet difficilmente possono essere inquadrati e catalogati in modo efficace. Si tratta infatti di materiale "non convenzionale", che cioè non risponde a criteri di ordinamento basati su precise convenzioni quali sono quelli che guidano la costruzione di una biblioteca. Spesso abbiamo a che fare con "letteratura grigia", non classificabile. La metafora dell'Archivio può essere più produttiva se ci porta a riflettere sul carattere dinamico e aperto, ma nel contempo ordinabile, dei materiali di storia presenti su Internet, e se ci aiuta a elaborare criteri di decodifica dei meccanismi che regolano l'elaborazione e la diffusione dei documenti immessi in rete.

 

c) storia attraverso Internet: mentre prima abbiamo visto il Web come una struttura chiusa in quanto supporto o deposito di testi storici, qui consideriamo il Web come una struttura aperta. Ciò significa che in questo ambito non consideriamo Internet come uno dei tanti media, veicolo di contenuti predeterminati a cui attingere (quasi un enorme Cd-rom), ma vediamo la rete come spazio di interazione, comunicazione, cooperazione, produzione. Storia attraverso Internet non significa soltanto scambio di messaggi o forum tra storici, ma anche tentativi di organizzare attraverso Internet repertori di fonti. Altro aspetto da considerare in questo ambito è l'uso del Web per la formazione a distanza in storia, su cui va fatta un'attenta riflessione critica.

 

Un nuovo medium?

 

La definizione di Internet come nuovo medium è ormai comunemente accettata e ad essa mi rifaccio, non senza avere sottolineato che si tratta di una definizione insoddisfacente, in quanto non tiene conto di alcuni elementi importanti. Tra questi va considerato il fatto che il computer è una macchina versatile e flessibile, il cui uso non può essere ridotto ad una limitata funzione strumentale, e che tende quindi a configurarsi come metamedium; allo stesso modo la rete telematica può essere considerata un metacanale, all'interno del quale i diversi software e i diversi approcci degli utenti tracciano canali di comunicazione diversi e paralleli. E' dunque più corretto parlare a questo proposito di "sfera comunicativa", più che di medium (5). Questa precisazione può in ogni caso essere utile per evitare di confondere, come spesso accade, Internet e il World Wide Web, e cioè una delle applicazioni che consentono di sfruttare la rete telematica, la quale preesisteva alla sua nascita e al suo sviluppo. In questo quadro e dentro questi limiti si può lavorare sulla definizione del WWW come nuovo medium individuando alcuni elementi che lo accomunano ai nuovi media nati nel Novecento e altri che lo differenziano da essi: da una parte stanno il montaggio, che lo avvicina al cinema, e il flusso, che lo avvicina alla radio e alla TV; dall'altra parte stanno l'interazione/interattività, ripresa dal telefono, e la comunicazione molti-a-molti, che ne costituiscono il dato effettivo di novità.

 

L’interattività, e cioè la situazione di dialogo tra uomo e macchina nel corso della quale la macchina simula un’attività conversazionale o un ruolo, è cosa diversa dall’interazione, che concerne il rapporto tra individui e/o gruppi in quanto produttori di senso. Possiamo distinguere (6), ponendoci dal punto di vista dell'autore/emittente, tra interattività funzionale (gestione del protocollo di comunicazione tra l'utente e la macchina) e interattività intenzionale (gestione del protocollo di comunicazione tra l'utente e l'autore, presente per mezzo del software). Se ci poniamo dal punto di vista dell'utente/destinatario occorrerà invece distinguere tra interattività intransitiva (l'utente svolge una determinata attività per ricevere e interpretare il messaggio) e interattività transitiva (l'utente retroagisce sul programma): il cinema e la televisione sono casi evidenti di interattività intransitiva, mentre le tecnologie informatiche rendono possibile anche l'interattività transitiva. L’inventore del WWW, Tim Berners-Lee, propone di utilizzare il termine di "intercreatività" allo scopo di eliminare l’equivoco di lasciar convivere sotto una stessa parola due fenomeni e due concetti diversi: da una parte l’agire in rapporto alla macchina, dall'altra parte lo stabilirsi di una relazione tra delle persone grazie alla mediazione della macchina: "L'intercreatività vuol dire fare insieme cose o risolvere insieme problemi. Se l'interattività non significa soltanto stare seduti passivamente davanti ad uno schermo, allora l'intercreatività non significa solo stare seduti di fronte a qualcosa di "interattivo"" (7).

 

La comunicazione molti-a-molti, o narrowcasting, propria del WWW e della posta elettronica, si differenzia dalla comunicazione uno-a-molti, o broadcasting, tipica di mezzi di comunicazione di massa come la radio, il cinema, la televisione. Se nei media tradizionali il controllo del contenuto e della forma del messaggio è tutto nelle mani di chi lo trasmette, qui forme e contenuti possono essere prodotti e modificati da chiunque sia soggetto attivo nella comunicazione. Mentre i media tradizionali riducono la distanza tra gli attori della comunicazione, i nuovi media allargano lo spazio della comunicazione, lo fanno "sprofondare", e consentono ad ogni soggetto coinvolto di intervenire modificando testo e contesto del messaggio.

 

Il rapporto tra vecchi e nuovi media si configura in due modi: da una parte si assiste alla "specializzazione" delle funzioni svolte, dall'altra parte accade che il nuovo medium tenda a "citare" o comunque a riutilizzare gli altri media secondo un processo che può essere definito di remediation, o "iterazione mediatica" (8). Come esempi del primo tipo di processo possiamo pensare al fatto che, con l'avvento della radio, e poi della televisione, il giornale non ha smesso di esistere ma ha incrementato la sua funzione di commento ragionato sulle informazioni veicolate in tempo reale dagli altri media; come esempio del secondo tipo di processo possiamo osservare come ogni medium tenda ad avere come contenuto un altro medium (il cinema nella televisione, etc.) e a produrre perciò "rappresentazioni di rappresentazioni". Nel caso dei nuovi media digitali il fenomeno dell'iterazione mediatica assume caratteri particolari e inediti perché tutti i contenuti dei media tradizionali sono disponibili in un unico formato e nello stesso supporto. Ciò consente una loro più immediata utilizzabilità e dà luogo a due tendenze contrapposte e concomitanti: da una parte quella verso l'immediatezza, e cioè verso la "trasparenza" e la (o l'illusione della) restituzione diretta e non mediata dell'esperienza; dall'altra parte la tendenza alla hypermediacy (traducibile in "ipermediatezza") e alla "opacità", e cioè l'esibire i segni della mediazione e della tecnologia, la frammentazione e la moltiplicazione dei punti di vista (9).

 

Ulteriori elementi di riflessione a questo proposito ci vengono offerti dall'opera di Marshall McLuhan,. Un primo punto lo possiamo ricavare dalla sua distinzione tra medium caldo e medium freddo: "Un medium freddo, la parola parlata, il manoscritto, la TV, lascia molto più spazio all’ascoltatore e all’utente che uno caldo. Se il medium è ad alta definizione la partecipazione è bassa, mentre è alta se il medium è a bassa intensità. Forse è per questo che gli innamorati bisbigliano tanto" (10). Se assumiamo questi criteri possiamo affermare che il Web è un medium "freddo", in quanto caratterizzato da bassa definizione e fondato sulla collaborazione dell'utente per il suo stesso funzionamento. In altri termini: per fruire del Web occorre interagire con esso attivando i links predisposti dall'autore; nello stesso tempo la struttura ipertestuale chiama continuamente in causa l'utente proponendogli vari accenni a contenuti e spunti di navigazione tra i quali scegliere. Bassa definizione e alta partecipazione si intrecciano in modo evidente. Un altro punto, tra i tanti che l'elaborazione di McLuhan ci suggerisce, riguarda le sue considerazioni sulla forma-mosaico che, a suo dire, caratterizza l'impatto della televisione: "una forma a mosaico non è una struttura visiva. La forma a mosaico può essere vista, ma non è strutturata visivamente e non è un’estensione della visività. Non è infatti uniforme, continua o ripetitiva, ma discontinua, obliqua e non lineare, come l’immagine tattile della TV. Per il senso del tatto tutte le cose sono improvvise, originali, disponibili, strane" (11) . Anche qui si può notare che queste osservazioni ben si attagliano a definire la realtà del Web, per il suo carattere composito e fatto di "parole colorate", oltre che di immagini, in continua e mutevole relazione tra loro. Né andrebbe lasciato cadere l'accenno al carattere "tattile" e non visivo che il rapporto con la forma-mosaico propone: "toccare le idee" è una delle sensazioni più immediate che la navigazione in un ipertesto può dare. Considerazioni analoghe sono richiamate, in un altro contesto, da Jonathan Rosen, a proposito del parallelo che egli propone tra il Web e il Talmud, e cioè l'insieme di commentari alla Sacra Scrittura che la tradizione ebraica ha sedimentato in forma scritta nel corso dei secoli: "Spesso, riflettendo sulle pagine del Talmud, ho pensato che mostrino una strana somiglianza con le home pages di Internet, in cui non vi è nulla che sia completo. Le icone e i riquadri che le costellano sono come porte attraverso cui il visitatore può accedere a un’infinità di conversazioni e di testi che rimandano l’uno all’altro." (12)

 

Pensare la Rete

 

Giunti a questo punto del ragionamento penso sia importante provare a definire alcune concettualizzazioni utili a dare forma e comprensibilità ad una materia per definizione fluida e sfuggente.

 

Mike Featherstone (13) ha richiamato l’attenzione su alcuni aspetti del pensiero di Walter Benjamin che possono essere messi in relazione con temi e problemi posti dal cyberspazio e, in particolar modo, dall’analisi dei siti Web. Benjamin ha sviluppato un quadro concettuale in grado di fare i conti con la complessità e il movimento che caratterizzano la modernità. Alcune sue opere possono aiutarci a capire che cosa sta succedendo nel campo dei nuovi media, e tra queste L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (14) , dedicata al cinema e alla fotografia. Può essere utile richiamare le sue considerazioni sulla "ricezione distratta", che per certi versi caratterizza anche la fruizione del Web: "L’architettura ha sempre fornito il prototipo di un’opera d’arte la cui ricezione avviene nella distrazione e da parte della collettività [...] La ricezione nella distrazione, che si fa sentire in modo sempre più insistente in tutti i settori dell’arte trova nel cinema lo strumento più autentico su cui esercitarsi" (15) . Altrettanto importanti sono le sue osservazioni sul montaggio: "cinema, il cui elemento diversivo è in primo luogo di ordine tattile, si fonda cioè sul mutamento dei luoghi dell’azione e delle inquadrature [...].Su ciò si basa l’effetto di shock del film, che, come ogni effetto di shock, esige di essere accolto con una maggiore presenza di spirito." (16).

 

Ipertestualità e multimedialità pongono oggi le condizioni, secondo Featherstone, perché il metodo di costruzione del testo e la sua architettura progettati da Benjamin possano essere realizzati. Il riferimento principale è qui al Passagen-Werk (17), tentativo incompiuto di costruire una storia sociale e culturale di Parigi nel XIX secolo accumulando materiali di vario genere e gettando così le fondamenta di un testo che nella sua complessa architettura si propone di riflettere la complessità della città di cui parla. L’archivio di citazioni, osservazioni, aforismi che Benjamin ha costruito tra il 1927 e il 1940, anno del suo suicidio per sfuggire alla persecuzione nazista, è stato strutturato in funzione di un lavoro costruito sulla base del montaggio: "...assumere il principio del montaggio nella storia. Erigere, insomma, le grandi costruzioni sulla base di minuscoli elementi costruttivi ritagliati con nettezza e precisione. Scoprire, anzi, nell'analisi del piccolo momento particolare il cristallo dell'accadere totale. Rompere, dunque, con il volgare naturalismo storico. Cogliere la costruzione della storia in quanto tale. Nella struttura del commentario."(18) . Non è secondario osservare qui che quando Benjamin parla di "commentario" egli si riferisce molto probabilmente al Talmud, la più antica e illustre forma di ipertesto. Nel montaggio, attraverso l’accostamento e la giustapposizione di frammenti, viene richiamata l’esperienza che del paesaggio urbano hanno il consumatore e il flaneur, termine di ascendenza baudelairiana che indica colui che si aggira senza meta nella metropoli moderna. Il testo costruito attraverso il montaggio ripropone inoltre l’immagine della città come labirinto, con molte possibilità di entrata e uscita nonché ripetizioni del percorso e attraversamenti dello stesso paesaggio a partire da punti diversi. A questa impostazione si richiama un interessante saggio di storia urbana pubblicato sul Web e dedicato alla città di Los Angeles (19).

 

Non è del tutto infondato, a mio parere, l'accostamento di queste considerazioni e di questa prospettiva al tema dei criss-crossed landscapes proposto da Ludwig Wittgenstein nella Prefazione alle Ricerche filosofiche: "...non appena tentavo di costringere i miei pensieri in una direzione facendo violenza alla loro naturale inclinazione, subito questi si deformavano. E ciò dipendeva senza dubbio dalla natura della stessa ricerca, che ci costringe a percorrere una vasta regione di pensiero in lungo e in largo e in tutte le direzioni. Le osservazioni filosofiche contenute in questo libro sono, per così dire, una raccolta di schizzi paesistici, nati da queste lunghe e complicate scorribande. Gli stessi (o quasi gli stessi) punti furono avvicinati, sempre di nuovo, da direzioni differenti, e sempre nuove immagini furono schizzate" (20).

 

Storia e ipertesto

 

L’elemento centrale del Web è il suo carattere ipertestuale, e attorno ad esso ruotano molti degli aspetti più innovativi e nello stesso tempo problematici dei siti Web di argomento storico. Sui temi della coerenza e della compatibilità tra ipertestualità e discorso storico il dibattito è infatti aperto, o meglio è appena cominciato (21) . Si può osservare che l'annullamento, proprio dell'ipertesto, delle distinzioni tra "inizio" e "fine" e tra "dentro" e "fuori", che sono centrali in ogni cultura e in ogni sapere fondati sul libro, può avere effetti devastanti per un sapere, come quello storico, nel quale tali distinzioni svolgono una funzione importante. L'"inizio" e la "fine" sono infatti consustanziali a un discorso imperniato su una narrazione che disegna, organizza, comunica le conoscenze conseguite dallo storico. I vincoli dettati dalla successione temporale, come dalla cronologia e dalle relazioni di causa-effetto, sono per molti aspetti centrali sia per la comprensibilità del discorso storico sia per la sua significatività. Nello stesso tempo ogni discorso storico si caratterizza non soltanto per ciò che include ma anche per ciò che esclude nelle scelte di tematizzazione operate, mentre l'ipertesto tende ad annullare ogni distinzione tra testo e contesto, fra centro e periferia del discorso. "Sopravviverà la storia all'ipertestualità?". Alla luce di queste considerazioni sembra che la risposta a questa domanda di Peppino Ortoleva(22) debba essere negativa. In realtà la questione non è così semplice. L'ipertesto non è soltanto un potenziale killer della storia, esso infatti si collega ad alcune ambizioni che la storiografia, "sapere onnivoro" secondo la definizione di Braudel, coltiva a partire dalla rivoluzione delle Annales e non solo: l'idea di una "storia totale", che vuole mettere al centro dei suoi interessi gli uomini nel tempo in tutte le loro manifestazioni e relazioni; il passaggio da una storia-racconto a una storia-problema, più attenta a indagare e a restituire la complessità delle vicende e dei processi storici. Ma c'è di più: dobbiamo chiederci se riteniamo soddisfacenti i modelli tradizionali di temporalità e di causalità, oltre che di narrazione, che di fatto confliggono con la logica e la struttura dell'ipertesto.

 

La questione del rapporto tra storia e ipertesto coinvolge anche un altro piano dell’analisi, riguardante il tema del rapporto tra "tecnologie dell’intelligenza" (23) e processi di conoscenza. Non si tratta di una relazione univoca tra due campi del sapere e del saper fare, reciprocamente impermeabili: se è vero che l'ipertesto modifica il rapporto con la conoscenza storica e il modo di comunicarla, è anche vero che alcuni cambiamenti in atto nel corso degli ultimi decenni nei contenuti, nei metodi, nei processi propri della conoscenza storica alludono a possibili sviluppi delle tecnologie ipertestuali o almeno di ciò che gli studiosi di storia, vorrebbero/potrebbero fare con esse. Il problema non si pone quindi in termini di discussione sugli effetti devastanti o salvifici, a seconda dei punti di vista, che questa tecnologia può avere sul sapere storico, ma riguarda l’indagine sul se e sul come la scrittura ipertestuale può potenziare la storio-grafia rendendo possibili risultati validi sia sul piano dello sviluppo delle conoscenze, sia sul piano dell’efficacia della comunicazione.

 

Secondo Edward L. Ayers (24) , ad esempio, la storia ipertestuale consente un miglioramento del lavoro dello storico sia a livello analitico, permettendo di pensare in modo più rigoroso, sia a livello estetico, consentendo di scrivere in modi che permettano di trattare sequenze multiple, voci plurali, diverse esperienze del tempo. Gli eventi reali sono più complicati e hanno più inizi e più conclusioni di quanto non risulti dalle pagine degli storici. Avere a disposizione uno spazio più complesso consentirebbe allo storico di combinare strutture e processi, spazio e tempo, e di collocare i documenti in ampi sistemi dinamici. Tali sistemi, come The Valley of the Shadow (25), il sito sulla Guerra di Secessione americana progettato e realizzato da una équipe diretta da Ayers, sono tali da non spingere alla reificazione, che è la minaccia costante quando si parla di strutture storiche, né all'imprecisione o alla teleologia, che emergono quando si parla di processi storici. La storia ipertestuale permetterebbe infatti di pensare a modi diversi di costruire narrazioni stratificate, ramificate, nidificate, nonché di presentare le fonti e costruire argomentazioni in riferimento ad esse.

 

Storia e scrittura

 

Il rapporto tra scrittura e storia, e quindi tra "testo" e storia come tra libro e storia, si stabilisce in forma definitiva a partire dal XVI secolo ed è costitutivo della storiografia moderna. Esso assume come suo nucleo centrale la razionalità e la mediazione tra la realtà del passato e il discorso su di essa, volto a renderla conoscibile e raccontabile. Lo storico ricrea il passato attraverso descrizioni, narrazioni, spiegazioni: descrivendolo egli lo evoca, narrandone gli avvenimenti ne dipana le fila e lo spiega secondo una catena di cause ed effetti strutturata sull'asse della cronologia.

 

Scrivere storia è "dar vita ad un tessuto narrativo volto a connettere, dando loro un senso, i segmenti fattuali che la documentazione disponibile o conosciuta offre. Inutile nascondersi che tale lavoro di connessione è intrinsecamente congetturale" (26) . La spiegazione può in molti casi attingere maggiore efficacia dall'analisi dello sviluppo sincronico e dall'attenzione alle connessioni tra eventi e processi simultanei più che dal concentrarsi sul movimento diacronico della storia (27)

 

Michel de Certeau, (28)riflettendo sulla "operazione storiografica" , ha evidenziato la "inversione scritturale" propria del discorso storico: mentre la ricerca opera seguendo il percorso che va dal presente al passato, l’esposizione procede secondo l’ordine inverso, dal passato al presente; mentre la ricerca non ha mai fine, il testo è "chiuso". Il discorso storico produce un contratto enunciativo tra emittente e destinatario, tra autore e lettore, che richiama un "patto di verità": esso pretende di dare un contenuto vero sotto forma di narrazione. Il discorso storico è stratificato, composto da strati non omogenei, comprende il suo "altro" (cronaca, archivio, documento) e si dà il potere di "dire quello che l'altro significa senza saperlo" attraverso note, rinvii, citazioni. La citazione lo accredita dando un effetto di verosimiglianza al racconto e di convalida al sapere, introduce nel testo un extratesto necessario e assegna così ad esso una credibilità referenziale. La scrittura della storia compone così, con un insieme coerente di unità concettuali, una "messa in scena". Essa costruisce un'architettura del testo, simile all’architettura dei luoghi e dei personaggi della tragedia, in uno spazio di scrittura nel quale convivono, con esiti non sempre controllati, documenti, descrizioni, racconti di avvenimenti, analisi di processi, individuazione di problemi, concettualizzazioni, interpretazioni.

 

L'Ottocento ha fornito, con il romanzo, il genere letterario di riferimento della comunicazione storica. Quali contaminazioni sono state generate nel Novecento dall'incrocio tra storia e altri generi narrativi (cinema, fotografia, radio, televisione) oltre che dalle trasformazioni che hanno attraversato il romanzo nel corso del secolo? Quali specificità ha assunto il racconto storico a seconda degli strumenti a cui è stato affidato? Tra queste assumono particolare importanza quelle relative alla televisione e al cinema: rottura con il modello letterario, consapevolezza degli elementi di drammaturgia propri di entrambi, specificità delle rispettive configurazioni spazio-temporali, segmentazione del continuum narrativo, centralità del montaggio. Il montaggio rappresenta un "principio conoscitivo nuovo" introdotto dal cinema (29); attraverso il montaggio il racconto filmico della storia ha determinato la perdita di centralità del paradigma letterario e ha influenzato la stessa forma scritta del discorso storico dando vita a nuovi modelli di narrazione. Gli storici, la cui pratica storiografica rientra nel campo della microstoria, hanno riportato l’accento sulla funzione della narrazione nel comunicare i risultati della ricerca: il racconto permette di mostrare il reale funzionamento di aspetti della società, altrimenti deformati da operazioni di generalizzazione; oggetto del racconto sono anche le procedure della ricerca stessa, la scoperta dei limiti documentari, il modo in cui si costruisce l’interpretazione. Non esiste quindi uno storico-narratore onnisciente, e all’argomentazione assertoria si sostituisce il dialogo con il lettore, invitato a partecipare al processo di montaggio del discorso storiografico. In questo ambito si pone con forza il problema della prova e del rapporto tra storia, retorica e prova, richiamato da Carlo Ginzburg (30).

 

L'incrocio tra storia e ipertesto rappresenta il momento in cui il montaggio, inteso come principio conoscitivo e forma di comunicazione, viene portato dentro il testo storico, coniugandosi con l’interattività. Con quali risultati? Se ne possono individuare almeno tre:

 

    1. è possibile superare le aporie derivanti dalla difficoltà di far convivere all'interno dello stesso testo lineare-sequenziale livelli diversi di profondità, analisi, rapporto con le fonti. Se infatti prendiamo in considerazione racconti storiografici a diversa densità fattuale, osserva Luciano Canfora (31), e compariamo questi differenti generi rintracciando, là dove è possibile, il racconto del medesimo episodio in ciascuno di essi, osserviamo la dominanza dell'arbitrio. L'ipertesto può contribuire a rendere stratificato e nello stesso tempo coerente il discorso storico che vuole misurarsi con la pluralità dei livelli di analisi necessaria per una corretta comprensione dei fenomeni studiati;

       

    2. se consideriamo la molteplicità delle dimensioni presenti nel testo storico (tempo, spazio, attori sociali, soggetti, istituzioni, culture, etc.), possiamo renderci conto della difficoltà di dare conto di ognuna di esse e delle loro relazioni reciproche in un discorso di tipo lineare-sequenziale, che con difficoltà può rappresentare le connessioni fra fenomeni simultanei, privi di continuità temporale e di contiguità spaziale. Nell'ipertesto è possibile costruire strutture che possono dare conto di queste molteplici dimensioni e consentire al lettore di ripercorrere i passi del ricercatore al loro interno (32);

       

    3. la difficoltà dello storico nel catturare la complessità degli eventi storici deriva in buona parte dal medium della prosa. La complessità degli avvenimenti non può essere rappresentata in forma lineare e unidimensionale. L'ipertesto consente l'uso di forme di visualizzazione che, come le mappe, rappresentano informazioni complesse in forma spaziale (33). A differenza delle mappe le visualizzazioni rappresentano informazioni che non sono intuitivamente spaziali; esse non sono illustrazioni ma strumenti nuovi per rendere visibile ciò che altrimenti non potrebbe esserlo.

       

Riguardo all'ipertesto di contenuto storico si possono infine individuare due diverse linee di tendenza (34): la prima usa la tecnologia ipertestuale per ampliare la possibilità di movimento all'interno di ampie basi documentarie, la seconda la vede come una macchina per la costruzione di percorsi interpretativi non meno ma più sofisticati di quelli permessi dal testo. Nel primo caso prevalgono la struttura della banca dati e le tecnologie di information retrieval: i dati sono indicizzati e le informazioni sono organizzate prima della loro consultazione e lettura da parte dell'utente. Molti dei Cd-rom e dei siti di argomento storico hanno queste caratteristiche, che li rendono utili ed efficaci prevalentemente come opere di reference, di supporto e documentazione. Il loro utilizzo presuppone infatti, come per tutte le Enciclopedie, che il lettore sia già in possesso di quadri concettuali, strutture, regole di funzionamento, conoscenze significative, propri del campo del sapere trattato. La seconda delle linee di tendenza indicate prefigura invece un ipertesto che assume come modelli di riferimento la scrittura saggistica e il "laboratorio dello storico": una scrittura che mostra il farsi del ragionamento e la sua architettura interna, una "messa in scena" della genesi e dei percorsi, delle argomentazioni e delle prove del discorso storico. L'interpretazione attraversa il racconto e le fonti senza farsi schiacciare su di essi. Un discorso "saggistico" che, secondo il modello degli Essais di Montaigne, propone un itinerario mentale tra testi e fonti e nello stesso tempo si pone in discussione per esplorare ogni possibile alternativa. L'interesse per questo tipo di ipertesto non deriva dalla quantità di dati che esso contiene ma dalla possibilità che offre al lettore di accrescere e/o ristrutturare il suo patrimonio conoscitivo, di partire dalle informazioni organizzate e dai percorsi predisposti per trasformarli in conoscenze significative.

 

NB: il riferimento agli URL dei siti citati è stato controllato il 3 settembre 2002

 

NOTE

 

1. N. Gallerano , Storia e uso pubblico della storia, in L'uso pubblico della storia, a cura di N. Gallerano, Milano, Franco Angeli, 1995, p. 17.

 

2. N. Gallerano, Storia e uso pubblico..cit.; G. De Luna, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo, Firenze, La Nuova Italia, 2001

 

3. Su questi temi: S. Noiret, Storia e Internet: la ricerca storica all'alba del terzo millennio, in "Memoria e Ricerca", n. 3, 1999, pp.7-20; l'intero fascicolo n. 3, 1999, di "Memoria e Ricerca", dedicato a questo argomento; il convegno SISSCO Linguaggi e siti: la storia on line del maggio 2000; R. Minuti, Internet e il mestiere di storico: Riflessioni sulle incertezze di una mutazione, in "Cromhos", 6, 2001, URL :; P. Corrao, Storia nella rete, storia con la rete, in "Nuove Effemeridi. Rassegna trimestrale di cultura", n. 51, 2000/III, pp. 53-60, URL ; S. Vitali, Navigare nel passato. Problemi della ricerca archivistica in Internet, in "Contemporanea", n. 2, 2001, pp. 181-204.

 

4. P. Ortoleva, Mediastoria. Mezzi di comunicazione e cambiamento sociale nel mondo contemporaneo, Milano, Net, 2002; T. Berners-Lee, L'architettura del nuovo Web, Milano, Feltrinelli, 2001.

 

5. L. De Carli, Internet, memoria e oblio, Torino, Bollati Boringhieri, 1997.

 

6. G. Jacquinot, Dall'interattività transitiva all'interattività intransitiva: l'apporto delle teorie di ispirazione semiologica all'analisi dei supporti della comunicazione educativa attraverso i media in Luoghi dell'apparenza. Mass media e formazione del sapere, a cura di A. Piromallo Gambardella, Milano, Unicopli, 1993.

 

7. T. Berners-Lee, L'architettura del nuovo Web, cit., pp.148-149.

 

8. J. D. Bolter, R. Grusin, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Milano, Guerini e Associati, 2002. Sul rapporto tra vecchi e nuovi media, oltre che sul linguaggio dei nuovi media, si vedano le analisi di L. Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Milano, Olivares, 2002.

 

9. R. Lellouche, Théorie de l'écran, in "Traverses", n. 2, 1997, consultabile all'URL: ; J. D. Bolter, R. Grusin, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, cit..

 

10. M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Milano, Garzanti, 1976, p. 336.

 

11. M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, cit, p. 352.

 

12. J. Rosen, Il Talmud e Internet. Un viaggio tra mondi, Torino, Einaudi, 2001. Il riferimento al Talmud è già presente in T. H. Nelson, Literary machines 90.1. Il progetto Xanadu, Padova, Muzzio. 1992.

 

13. M. Featherstone, Archiving cultures, in "British Journal of Sociology", vol. n. 51, n. 1, January-March 2000, pp. 161-184.

 

14. W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, Torino, Einaudi, 2000.

 

15. W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, cit., pp.45-46.

 

16. W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, cit., p.45.

 

17. W. Benjamin, I "passages" di Parigi, Opere complete, vol. IX, Torino, Einaudi, 2000.

 

18. W. Benjamin, Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Torino, Einaudi, 1997, p. 116. Il testo sopra riportato si trova anche in W. Benjamin, I "passages", cit. a p. 515, ma ho preferito la traduzione di Bonola e Ranchetti. Su Benjamin e la storia si veda V. R. Schwartz, Walter Benjamin for Historians, in "The American Historical Review", n. 5, dec. 2001, pp. 1721-1743.

 

19. P. J. Ethington, Los Angeles and the Problem of Urban Historical Knowledge, dicembre 2000, all'URL: .

 

20. L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi, 1999, p.3.

 

21. Elementi di analisi e discussione su questo tema in: R. Minuti, Internet e il mestiere di storico, cit.; P. Corrao, Saggio storico, forma digitale: trasformazione o integrazione?, 2001, URL ; P. Ortoleva, Presi nella rete? Circolazione del sapere storico e tecnologie informatiche, in S. Soldani, L. Tommasini, Storia & Computer. Alla ricerca del passato con l'informatica, Milano, Bruno Mondadori, 1996.

 

22. P. Ortoleva, Presi nella rete? Circolazione del sapere storico e tecnologie informatiche, cit., p. 81-82.

 

23. P. Lévy, Le tecnologie dell'intelligenza, Verona, Ombrecorte, 2000.

 

24. E. L. Ayers, History in Hypertext, 1999, URL: < http://www.vcdh.virginia.edu/Ayers.OAH.html >. Si veda anche E. L. Ayers, The Pasts and Futures of Digital History, 1999, consultabile all'URL: .

 

The Valley of the Shadow, URL: . Un altro tentativo di coniugare Web e storia è il saggio ipertestuale di R. Darnton, An Early Information Society:News and Media in Eighteenth-Century Paris, pubblicato a cura di "The American Historical Review", n. 1, 2000, consultabile all'URL: .

 

26. L. Canfora, Grandezze e miserie del "castello di cartone del professor N.N", introduzione a R. J. Evans, In difesa della storia, Palermo, Sellerio, 2001, p. 14.

 

27. G. De Luna, La passione e la ragione., cit.

 

28. M. de Certeau, L'operazione storiografica, in M. de Certeau, La scrittura della storia, Urbino, Il pensiero scientifico - Editore, 1977. Importanti spunti di riflessione sul rapporto tra "utenti" e Web in M. De Certeau, L'invenzione del quotidiano, Roma, Edizioni Lavoro, 2001.

 

29. G. De Luna, La passione e la ragione., cit., p. 272.

 

30. C. Ginzburg, Rapporti di forza, Milano, Feltrinelli, 2000. Si veda anche P. Ricoeur L'écriture de l'histoire et la représentation du passé in "Annales". n. 4, 2000, pp. 731-747.

 

31. L. Canfora, Grandezze e miserie, cit., p.16.

 

32. Arne Solli, The Media Challenge: Towards an academic hypertext, consultabile
all'URL: .

 

33. David Staley, Historical visualizations, in "Journal of the Association for History and Computing", vol. III, n. 3, 2000, consultabile all'URL:
.

 

34. Questa distinzione può essere collegata a quella indicata da F. Pellizzi, L'ipertesto come forma simbolica, in "il verri", n. 16, 2001, pp. 65-80: "due modi differenti di considerare il digitale, due strategie che si propongono di raggiungere obiettivi differenti. Sono due diversi tipi di formae mentis che si potrebbero designare come information retrieval e information architecture. O, più scherzosamente, Digital Mind (DM) e Digital Body (DB)", ivi, p. 73.