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«Internet e il mestiere di storico»: a proposito di una recente pubblicazione

di Filippo Ciocchetti
in Memoria e Ricerca n.s. 15 (2004), p. 167


 

 

Internet e il mestiere di storico [1] rappresenta la prima sistematizzazione ampia e coerente di un nuovo scenario, apertosi con l’avvento della telematica e il suo utilizzo in ambito storiografico [2] .

Informazione e approfondimento sono i due punti di riferimento che l’autore persegue e sa far convivere nel suo lavoro. La completezza e la sicurezza dell’analisi discendono anche dal fatto che queste riflessioni sono il seguito di un impegno diretto e concreto sul terreno della sperimentazione. Mi riferisco all’esperienza pionieristica di Cromohs e di Eliohs, realtà che lo stesso Minuti ha già presentato in queste pagine [3] .

Rolando Minuti – che è docente di Storia moderna all’Università di Firenze – sceglie di rivolgersi non solo alla ristretta cerchia degli iniziati o a un pubblico di entusiasti fautori delle nuove tecnologie, ma anche – e in primo luogo – a chi vede con distacco, se non ostilità, quei processi che stanno investendo l’ambito professionale degli storici. L’autore si muove su questo terreno con la consapevolezza della permanenza, in larga misura, dello scetticismo tradizionale della cultura umanistica verso l’informatica, misurandone il rischio non tanto in un persistente rifiuto, quanto in una vischiosa accettazione che diventa emarginazione e tende a rinserrare quello che dovrebbe essere un rinnovamento e un ampliamento – a tutti i livelli: scientifico, organizzativo, comunicativo – del modus operandi degli storici, nell’orticello di un ennesimo specialismo. Minuti osserva che «se l’esito di questo processo dovesse essere la codificazione di mondi separati all’interno della comunità che globalmente si riconosce nei metodi e negli obiettivi della ricerca storica, di entità diverse e sospettose della propria autonomia, e parallelamente convinte del proprio primato, credo che avremmo perso una grande occasione di riflessione e di crescita; e soprattutto non saremmo riusciti a tradurre le potenzialità concrete della rete in un contesto diverso, e qualitativamente migliore, per lo studio, la ricerca e la comunicazione storiografica» [4] .

L’eventualità negativa da cui Minuti mette in guardia sarebbe una risposta sbagliata e di basso profilo, e tuttavia generata da una percezione della rete e dei suoi codici che incorpora preoccupazioni e sospetti nei confronti di problemi reali, che meritano attenzione. Le ragioni degli scettici, infatti, non riposano esclusivamente su chiusure a priori. Vi sono perplessità e dubbi, evidenzia Minuti, molto diffusi ma anche argomentati: «Perplessità sui contenuti, sull’oggetto stesso della rete come strumento autenticamente utile alla ricerca storica, perplessità sulla labilità dell’informazione e della documentazione affidata alla rete, interrogativi sull’eccessiva rapidità della pubblicazione consentita dalla rete, rispetto alla serietà e alle lentezze della ricerca (che dovrebbero essere tanto maggiori quanto più cresce la letteratura critica) e sullo smarrimento della nozione di ricerca di fronte alla dilatazione della scrittura» [5] .

Una prima chiave di lettura per affrontare questo libro mi pare dunque quella di ripercorrerlo nell’esame che esso fa di quesiti così rilevanti, e nelle proposte concrete, nei principi regolativi e nelle linee di azione e di comportamento che propone. Rivolgendosi anche ai non-iniziati Minuti dimostra – persuasivamente, a mio avviso – che il rigore critico nel maneggiare le fonti e nel presentare i risultati delle proprie ricerche non è incompatibile con l’utilizzo della rete.

La seconda prospettiva che adotterò consiste nell’esaminare il contesto, ossia andare alla ricerca di tracce che consentano non tanto di ricostruire un panorama complessivo, quanto di far emergere quanto di nuovo è stato fatto nel periodo successivo a quello in cui sono state elaborate le note di cui stiamo discutendo, e offrire così alcuni spunti per un parziale bilancio.

Ciò che si può  immediatamente rilevare è la carenza di interventi – con eccezioni che discuteremo di volta in volta – da parte di grandi istituzioni, molto attive all’estero, ma riluttanti in Italia a giocare quel ruolo di primo piano che determinerebbe una svolta nei rapporti fra il mestiere di storico e gli strumenti della telematica.

In questo contesto, agli studiosi che si occupano di storia e reti spetta il compito di trasmettere, alla più vasta comunità degli storici, la consapevolezza della necessità che su questi temi la riflessione si allarghi, e di produrre iniziative che dimostrino il livello qualitativamente ineccepibile che studi e fonti diffusi in rete possono raggiungere.

 

Nella prima parte del suo saggio, Minuti affronta da varie angolature il problema delle “fonti”, nelle loro diverse accezioni.

Il primo problema che si pone è come reperirle in rete: si tratta di un’operazione che può talvolta tradursi, per usare le parole dell’autore, nella rincorsa a un vero e proprio “miraggio”. Ma più che al caos di Internet, tante volte denunciato – e inevitabile, data la sua struttura – , più che alla carenza di strumenti appositi, è ad un altro aspetto che Minuti rivolge la sua analisi più intelligente e acuta: gli studiosi, sottolinea il nostro autore, devono riflettere sulle intenzioni e le finalità con le quali si accingono a effettuare una ricerca di rete, perché occorre saper decifrare il concetto stesso di risorsa online prima ancora di riuscire a individuarla.

Le difficoltà che si presentano in maniera più evidente, ossia i problemi operativi che si riscontrano cercando nel Web risorse utili e pertinenti ai propri interessi, si possono risolvere conoscendo meglio la rete e le sue caratteristiche. I percorsi, com’è noto, sono due: passare dai motori di ricerca o usare il filtro rappresentato dai cataloghi attualmente disponibili di risorse online. È possibile ottenere risultati migliori usando tecniche di ricerca più accorte e perfezionate, o valersi di guide e repertori che nel frattempo si stanno affinando [6] . Ma è nel concetto di risorsa storica in rete, e nelle aspettative che i singoli storici hanno nei suoi confronti, che si pone il problema principale in ordine al loro reperimento. Infatti, spiega Minuti, «la risorsa che per me risulta essere importante, addirittura decisiva, per un problema che intendo affrontare per portare qualche contributo nuovo di conoscenza o di riflessione, non è affatto reperibile ricercando, attraverso un motore di ricerca anche specialistico le risorse disponibili relative all’oggetto, semplicemente e banalmente perché la connessione tra problema e risorsa – e dunque la presenza di meta-tags che segnalano i contenuti della pagina ai motori di ricerca – non è presente; ed è normale ed ovvio che sia così, perché questa connessione è esattamente l’aspetto, o uno degli aspetti qualificanti della mia ricerca, la natura specifica del mio contributo.

Può sembrare una considerazione banale – che peraltro è la semplice registrazione di un’obiezione immediatamente avanzata da chi non ha esperienza con il web – ma l’idea che si possa giungere, per esempio, digitando il nome di “Voltaire” nella maschera di interrogazione di un motore di ricerca ad avere tutto quanto può essere utile ad una mia ricerca su Voltaire, non ha alcun fondamento, ed oltre a rivelare la natura illusoria dell'immagine di un “mondo a portata di mouse”, come si accennava – che è ancora ben lontana dal costituire la realtà – , mette in luce un errore metodologico che la rete può contribuire ad amplificare.

Le risorse (o le fonti, nel linguaggio più tradizionale degli storici) non sono quello che risulta racchiuso in un contenitore prestabilito e preordinato, fisico o virtuale, ma ciò che uno storico individua come tale in relazione ad un problema» [7] .

Si tratta di osservazioni metodologiche che illuminano con esemplare validità e chiarezza questioni generalmente tralasciate o date per scontate, e perciò – attraverso quest’ampia citazione – ho dato loro notevole risalto. A livello di immediata operatività, la telematica, ricorda nelle pagine successive Minuti, si è rivelata in primo luogo un valido ausilio nel reperimento di informazioni di carattere bibliografico, e, in misura minore, archivistico. Non vi è però dubbio che sia i cataloghi delle biblioteche sia gli archivi usufruiscano in maniera ancora troppo limitata delle possibilità del Web. Rispetto a questa constatazione non sono molte, purtroppo, le novità positive da segnalare. Sicuramente merita una menzione Archivi, il portale del Sistema Archivistico Nazionale [8] , una iniziativa promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali che offre attraverso un’interfaccia semplice un unico punto di accesso all’informazione sugli Archivi di Stato. E il progetto Lombardia storica, bell’esempio di coordinamento istituzionale che vede riuniti Archivi di Stato e Università di Pavia con il sostegno della Regione [9] .

Vi sono progetti pensati con l’obiettivo di percorrere un tratto ulteriore: la digitalizzazione del patrimonio documentale. Alcune di queste iniziative non hanno però intenti scientifici ma piuttosto divulgativi. Un’ottica del genere presiede alla realizzazione di progetti volti ad avvicinare il grande pubblico agli archivi servendosi della telematica. Si possono ricordare due iniziative, dall’Australia e dal Canada, che propongono in rete una selezione di documenti, finalizzati non a favorire una ricerca autonoma, ma ad imbastire una narrazione: il tema è l’identità democratica di quelle nazioni, e il materiale scelto documenta una tesi, è esso stesso interpretazione [10] . Ci troviamo qui di fronte a uno dei casi in cui gli esiti dell’applicazione delle nuove tecnologie sono più controversi. L’informatizzazione di un archivio rischia infatti di creare documenti puntiformi, slegati dal contesto istituzionale che li ha prodotti, e dunque storicamente poco significativi.

Finalità di tipo scientifico, diverse rispetto a quelle degli ultimi esempi citati, hanno determinato l’adozione di criteri rigorosi nell’elaborazione di un progetto sviluppato presso l’Archivio di Stato di Firenze: il Mediceo avanti il Principato [11] . Si tratta di uno degli esempi più validi di archivi digitalizzati, perché offre la possibilità di consultare direttamente, nella versione elettronica, il testo integrale dei documenti di un fondo completo, che racchiude il carteggio politico e diplomatico della famiglia Medici dal periodo di Lorenzo il Magnifico all’assunzione, avvenuta nel 1537, del titolo ducale da parte di Cosimo I. Uno dei motivi per cui è stato scelto questo fondo – oltre ovviamente alla sua grande rilevanza storica, e all’esigenza di salvaguardarlo sottraendolo al naturale deterioramento legato alle frequenti consultazioni – risiede nel fatto che era già disponibile il relativo inventario analitico a stampa, che è stato a sua volta digitalizzato e messo in linea: il rischio di immettere in rete informazioni disperse, avulse dal proprio contesto, è così scongiurato, in quanto le modalità di consultazione non variano rispetto a quelle tradizionali.

In ogni caso, nel rivolgersi alla rete, sottolinea ancora una volta Minuti, il problema del metodo è assolutamente centrale: «senza domande chiaramente impostate su quale informazione (documento) si va cercando e per quali scopi, e rivolgendoci indistintamente al web come fornitore indiscriminato ed esaustivo di risorse informative, si rischia sistematicamente di andare fuori strada o di alimentare aspettative che per non tradursi sistematicamente in frustrazioni debbono essere disciplinate entro ambiti di conoscenza, di esperienza, di saperi. È  inutile, in altri termini, la possibilità di disporre di strumenti anche raffinati di recupero informatico dell’informazione archivistica, se alle spalle non c’è un problema e una ricerca, se non ci sono interrogativi ed esigenze chiare che ci portano ad un archivio e al suo materiale» [12] .

Restando sul terreno delle fonti online, le biblioteche digitali pongono a loro volta interrogativi peculiari, che si sintetizzano nel problema dell’accuratezza, completezza, “autorità” dei testi. Fondamentalmente, per garantire che i testi distribuiti nei (diversi) formati digitali siano accettati come fonti usabili e citabili, il rigore filologico è la premessa indispensabile. È corretto riconoscere che in un primo momento le biblioteche digitali hanno iniziato a svilupparsi in rete grazie soprattutto all’attività di volontari. Non tutte le iniziative amatoriali, tuttavia, sono state condotte in base a criteri di serietà quali quelli che Minuti riconosce, per esempio, all’associazione Liberliber, promotrice del progetto Manuzio [13] . Progetti di livello realmente scientifico hanno fatto la loro comparsa in seguito, per iniziativa autonoma di piccoli gruppi di studiosi. Recentemente però anche alcune istituzioni stanno intervenendo, promuovendo progetti interessanti centrati su ambiti particolari. Uno di questi è la Emeroteca virtuale aperta (Eva) della Biblioteca Nazionale Braidense [14] , che si propone l’obiettivo di portare in rete periodici soprattutto lombardi editi nell’800 e nel ‘900, molti dei quali di non facile reperibilità, i cui temi spaziano dall’economia alle scienze naturali, dalle lettere all’attualità. Ricordiamo anche Bivio, un progetto nato all’interno della Scuola Normale Superiore di Pisa e volto alla costituzione di una biblioteca virtuale online, allo scopo di offrire testi rari della cultura rinascimentale. Le modalità di consultazione includono analisi abbastanza sofisticate, come la generazione di concordanze. Interessante la scelta di orientare il lettore proponendo un ordinamento dei testi raccolti non solo per autore, ma anche in base a proposte di lettura che individuano percorsi tematici collegando testi tra loro affini [15] . Infine c’è TLIO, il Tesoro della Lingua Italiana delle Origini, consultabile all’interno del sito dell’Opera del Vocabolario Italiano [16] . Il fatto che questo strumento, attualmente in fase di redazione, sia consultabile (liberamente) in rete, fa sì che sia possibile accedere alle singoli voci man mano che esse vengono elaborate e messe in linea: una possibilità che la pubblicazione a stampa ovviamente escluderebbe.

Il problema della stabilità delle fonti digitalizzate disponibili via Internet è molto sentito anche per quanto riguarda le pubblicazioni originali destinate alla rete. La labilità delle pagine web e la loro continua modificabilità rappresentano uno degli ostacoli più seri, anche a livello psicologico. La necessità, segnalata anche da Minuti, della conservazione stabile dei documenti digitali al fine della loro utilizzabilità come fonti storiche, primarie e secondarie, (nonché come garanzia indispensabile perché le pubblicazioni digitali vengano finalmente accettate dal punto di vista giuridico al pari dei lavori a stampa), è stata recepita dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Pur in assenza di una norma legislativa che sancisca l’obbligo del deposito legale anche per i documenti digitali, la Biblioteca Nazionale ha siglato un accordo con la casa editrice costituita dall’Ateneo fiorentino, in base al quale svolgerà funzioni di deposito legale per i testi elettronici prodotti dalla Firenze University Press. La Biblioteca Nazionale di Firenze, ricevendole in deposito volontario, offre la garanzia della conservazione delle opere elettroniche e la possibilità di consultarle, in sola lettura, presso la propria sede. [17]

 

La comunicazione è il punto di vista assunto da Minuti nella seconda parte del suo saggio. L’utilizzo di forme di comunicazione ipertestuale, con la loro naturale tendenza verso il non finito, suscita tra gli storici forti imbarazzi. Minuti affronta la questione negando, in sostanza, che il ricorso ad esse implichi l’adesione alle teorie linguistiche post-strutturaliste, e in genere a tutte quelle tesi che sottolineano la dimensione prevalentemente retorica del discorso storiografico. Tra queste elaborazioni concettuali e le teorie dell’ipertestualità esistono ovviamente punti di contatto, ma non rigidi e normativi al punto da doversi imporre come fattori destinati a ridefinire l’attività degli storici. Minuti risponde a chi teme la «frammentazione e disintegrazione dell'autore e del testo» nel docuverso, sottolineando in particolare due punti:

1)      l’ipertesto non è affatto caotico, al contrario richiede una progettualità forte da parte dell’autore (da ciò discende la necessità da parte degli storici di appropriarsi di competenze, anche tecniche, non più delegabili come avveniva nell’era tipografica)

2)      occorre distinguere tra «un’ipertestualità debole e una forte. È solo nel secondo caso, se si sceglie cioè di rinviare ad altri documenti, o parti di documenti, o siti, presenti sul web, che i termini di autorità, individualità, responsabilità vengono messi in discussione. Maggiore è pertanto il grado di ipertestualità forte propria di un documento destinato alla comunicazione in rete, minore, inevitabilmente, è il suo grado di controllabilità e di mantenimento dell’autorità e dell’individualità di un testo» [18] .

La cautela da seguire nell’adozione di rimandi esterni, «rinviando – suggerisce Minuti – una sua più sistematica applicazione al momento in cui i quadri di riferimento, tecnologici e normativi, della comunicazione scientifica sul web appaiano più certi», non dovrebbe indurre eccessive auto-limitazioni: la stessa «ipertestualità debole […] consente la sperimentazione di forme di argomentazione e di strutturazione del discorso (nel rapporto tra testo, note, apparati documentari, per esempio) che determinano uno stile e un ordine diversi rispetto alle forme tradizionali della storiografia», senza che ciò debba innescare una crisi irreversibile [19] .

Se queste sono le premesse teoriche, il dato oggettivo è che gli esempi di pubblicazioni di questo tipo non sono molti. E in fondo il saggio di Darnton, pur con i suoi noti limiti, resta a tutt’oggi il punto di riferimento obbligato per avviare una discussione su questo tema. In Italia di fatto mancano esperienze simili, almeno in campo storiografico. [20] Trovo comunque un esempio interessante l’ipertesto sulla Repubblica di Platone e la filosofia greca – nato come strumento didattico per il corso di Storia del pensiero politico antico tenuto dall’autrice, Maria Chiara Pievatolo, presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pisa – che combina ipertestualità forte e debole, e che appare un tentativo riuscito e potenzialmente adattabile alle esigenze proprie del discorso storiografico [21] .

Va pertanto sottolineato che le novità che Internet ha introdotto nel mestiere di storico riguardano maggiormente il rapporto con le fonti e coinvolgono meno le forme di esposizione dei risultati delle ricerche. Ciò risulta tutto sommato comprensibile, anche sulla base delle osservazioni precedenti. Vorrei però segnalare che la modalità ipertestuale è assunta come struttura caratterizzante da un progetto, tutt’ora in corso di realizzazione, che potrebbe rivelarsi molto significativo. Un ipertesto «di ricerca, di edizione, di comunicazione», sviluppato da un’équipe guidata da uno studioso italiano (ma attivo su questo progetto dapprima in Francia e ora in Germania), Paolo d’Iorio, che coinvolge tutti gli aspetti in cui interviene la rete: l’offerta di fonti primarie, la pubblicazioni di ricerche (e la possibilità di stabilire connessioni tra questi due momenti solitamente staccati), e in terzo luogo la comunicazione ampliata e senza costi dei risultati. Si chiama HyperNietzsche ed è ovviamente dedicato al pensiero del filosofo tedesco [22] . L’idea è ambiziosa: «Il progetto HyperNietzsche intende creare un’infrastruttura di lavoro collettivo in rete dedicata alle scienze umane. Questa infrastruttura sarà applicata in un primo tempo all’opera di Nietzsche e successivamente generalizzata per servire allo studio di altri autori, di un periodo storico, di un fondo d'archivio o all’analisi di un problema filosofico».

 

Dopo le fonti e le pubblicazioni, il contatto diretto tra studiosi è indicato da Minuti come una delle chances più interessanti offerte da Internet. La rete si mostra in grado di accrescere la dimensione partecipativa del confronto, riducendo o stemperando sia i vincoli  geografici, sia i confini disciplinari. Più che le tradizionali strutture accademiche, sottolinea Minuti, è la dimensione associativa che può essere rilanciata e rafforzata da Internet, magari con l’ausilio delle mailing lists, che pur senza influire sensibilmente sulla ricerca si sono rivelate utili come canale informativo (per esempio su seminari, convegni, progetti ecc.).

Per quanto riguarda il ricorso alla rete da parte di associazioni professionali di storici, emerge nettamente la SISSCO (Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea), che si avvale anche di un sito web ricco e articolato per svolgere la sua importante funzione di forum e di strumento di comunicazione tra i contemporaneisti [23] .

A questo esempio si ispira la SISEM (Società Italiana per la Storia dell’Età Moderna), nata recentemente, nel maggio 2003, e subito consapevole della necessità di dotarsi di una valida ed efficace presenza telematica. Ciò avverrà mediante la sua casa virtuale nella rete: il sito web Storia moderna, uno spazio di informazione e confronto, che si ripromette di diventare in breve tempo un punto di riferimento importante per la comunità degli storici modernisti [24] .

Un altro progetto dalla grande carica innovativa è rappresentato da Reti Medievali, una realtà vitale e in espansione, con una forte vocazione alla comunicazione all’interno del mondo universitario: presentazioni pubbliche, convegni ecc., tramite i quali gli studiosi coinvolti partecipano ai colleghi il loro importante patrimonio di esperienze, ottengono un riscontro ampio e significativo [25] . Reti Medievali è attiva anche nel campo della formazione, promuovendo stages per giovani studiosi e un appuntamento annuale, a Pavia, con seminari e laboratori dedicati a Studi medievali e cultura digitale.

È bene ricordare infine il ruolo del Dipartimento di studi storici e geografici dell’Università di Firenze, che dal 1999, organizzando con la collaborazione di molti studiosi provenienti da altri atenei una numerosa serie di workshops su Storia e Internet, dà vita a una delle principali sedi di dibattito su queste tematiche in Italia [26] .

            Spostando l’attenzione dal livello della comunicazione/formazione e del dibattito scientifico a quello della didattica universitaria, nella riflessione di Minuti si colgono spunti interessanti per approfondire un tema complesso e attuale: recentemente si stanno moltiplicando le iniziative – ovviamente non solo nell’ambito delle discipline storiche – per offrire agli studenti percorsi formativi basati sull’e-learning.

Il punto focale dell’applicazione della telematica all’insegnamento viene individuato in un confronto tra il modulo della lezione e quello del seminario: «Proprio la dimensione del lavoro seminariale, in cui ci pare di individuare la forma qualitativamente più elevata dell’insegnamento della storia, e non la riproduzione del modello tradizionale della lezione, penso possa trovare nella rete la sua più forte possibilità di applicazione ed estensione» – osserva Minuti [27] . Ciò comporta un dispiego di risorse, impegno individuale ecc. maggiore rispetto all’attuale, ché la didattica distribuita (la cui chiave è l’interattività) non semplifica, anzi accresce il carico di lavoro del docente, a differenza di ciò che si pensa comunemente. E tuttavia ancora una volta, secondo Minuti, la scelta da compiere nei confronti delle nuove tecnologie non è tra resistenza o accettazione passiva, bensì è alzare la posta e cogliere tutte le potenzialità concesse dal mezzo, attuando anche in questo settore una sperimentazione coraggiosa, che fin qui – almeno in questa misura – è mancata.

 

In conclusione, le riflessioni di un osservatore autorevole e l’esperienza delle attuazioni concrete ci permettono di rilevare come le potenzialità offerte dalla telematica alla ricerca storica siano ancora lontane dall’essere completamente dispiegate. Si potranno fare passi avanti in questa direzione se si riuscirà a integrare la rete nelle pratiche di ricerca di tutti gli storici, «verso una nuova normalità condivisa» [28] . Un’espressione felice, quest’ultima, che sintetizza efficacemente il progetto di Minuti e di chi condivide la sua impostazione. Chi si occupa o intende avvicinarsi a questi temi “di frontiera” trova nel libro di Rolando Minuti molte risposte, ma anche stimoli a porsi nuove domande: i requisiti ideali di un bel libro di storia.

 

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[1] Questo libro, scritto originariamente per l’edizione francese: R. Minuti, Internet et le métier d’historien. Réflexions sur les incertitudes d’une mutation, Paris, PUF, 2002, è stato pubblicato anche in formato digitale e versione italiana in R. Minuti, Internet e il mestiere di storico. Riflessioni sulle incertezze di una mutazione, “Cromohs”, 6 (2001): 1-75, <http://www.cromohs.unifi.it/6_2001/rminuti.html>. Nelle pagine seguenti farò riferimento a quest’ultima versione. Nelle citazioni verrà comunque indicato, tra parentesi quadre, il numero della pagina corrispondente nell’edizione cartacea.

[2] Su questi temi ma con orizzonti meno ampi si vedano anche i successivi: P. Donati Giacomini, Innovazione e tradizione. Le risorse telematiche e informatiche nello studio della storia antica, Bologna, il Mulino, 2002; R. Greci (a cura di), Medioevo in rete tra ricerca e didattica. Atti del convegno di Parma, 24 gennaio 2001, Bologna, CLUEB, 2002; A. Zorzi, Scritti sul web. Gli studi medievali e il mutamento digitale (in corso di pubblicazione nella collana di e-book di Reti Medievali). Sul versante specificatamente didattico: P. Ghislandi (a cura di), eLearning: didattica e innovazione in università, Trento, Editrice Università degli Studi di Trento, 2002, e J. Tardif, Internet nella scuola: le tecnologie della comunicazione e l’insegnamento della storia, Consiglio per la cooperazione culturale del Consiglio d’Europa, Roma, Sapere 2000, 2000.

[3] R. Minuti, A proposito di Cromohs, “Memoria e Ricerca”, n. s., 2, 1998, pp. 201-203, <http://www.racine.ra.it/oriani/memoriaericerca/3-2.htm>.

[4] R. Minuti, Internet e il mestiere di storico cit., 6 [17-18].

[5] Ibid., 5 [16].

[6] Su questi argomenti mi permetto di rimandare al mio saggio: F. Chiocchetti, Le guide alle risorse storiche online: una rassegna critica, “Cromohs”, 7, 2002, 1-22, <http://www.cromohs.unifi.it/7_2002/chiocchetti.html>.

[7] R. Minuti, Internet e il mestiere di storico cit., 20 [40-41].

[8] <http://www.archivi.beniculturali.it/>.

[9] <http://plain.unipv.it/>.

[10] Documenting Democracy. Australia’s Story, <http://www.foundingdocs.gov.au>; Canada’s Digital Collection, <http://collections.ic.gc.ca>. Su queste iniziative cfr. S. Vitali, Navigare nel passato: problemi della ricerca archivistica in Internet, “Contemporanea”, 2, 2001, pp. 181-204, ricco di importanti riflessioni su questo tema.

[11] <http://www.archiviodistato.firenze.it/Map>.

[12] R. Minuti, Internet e il mestiere di storico cit., 34 [67].

[13] <http://www.liberliber.it/>.

[14] <http://emeroteca.braidense.it/eva/presentazione.php>.

[15] <http://www.bivionline.it/>.

[16] <http://ovipc44.csovi.fi.cnr.it/TLIO/>.

[17] < http://epress.unifi.it/> .

[18] R. Minuti, Internet e il mestiere di storico cit., 62 [112].

[19] Ibid., 63 [113].

[20] Robert Darnton: "An early Information Society: News and the Media in eighteenth Century Paris.", in The American Historical Review,Vol.105, 1, February 2000, < http://www.indiana.edu/~ahr/darnton/>

[21] <http://lgxserver.uniba.it/lei/personali/pievatolo/platone/intro.htm>.

[22] <http://www.hypernietzsche.org>.

[23] <http://www.sissco.it/>.

[24] <http://www.stmoderna.it>.

[25] <http://www.retimedievali.it/>.

[26] <http://www.storia.unifi.it/_storinforma/>.

[27] R. Minuti, Internet e il mestiere di storico cit., 74 [127].

[28] Ibid., 57 [106].

 
 

 

     
©2004
Memoria e Ricerca
Biblioteca di Storia contemporanea 'A. Oriani' - Ravenna
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Franco Angeli Editore